La storia di Alma

– Signor ministro l’auto è giù che l’aspetta .-
– Grazie Filippo, puoi andare. Domani, non so. Forse nel pomeriggio.-
Non aveva avuto bisogno di pensarci. Aveva deciso all’istante non appena saputa la notizia. E poco importava se erano già le dieci della notte. Sarebbe certamente arrivato ed in tempo. Doveva arrivare a  qualunque costo. Non volle l’autista. Era quella una meta che aspettava solo lui..
Lasciata l’autostrada prese a percorrere una provinciale costeggiata da una doppia fila di alberi, una strada in piano, dritta, che si perdeva lì davanti nella notte. Non c’era nessuno in giro e quella solitudine dapprima opprimente cominciò a trasmettergli una sorta di calma interiore. Per quanto fosse ancora lontano già avvertiva come familiari quei luoghi, quegli odori, quei silenzi. E nel cuore si andava risvegliando un’allegria gioiosa mista ad una dolce malinconia che da tempo non aveva più avvertite.
Il buio che le luci dei fari fendeva, nel ritirarsi, disegnava pallide ombre lungo i margini della strada mentre davanti ai suoi occhi il vapore, che lasciava l’asfalto lucido per l’umido, dipingeva a tratti sembianze umane. Un profilo, una bocca, gli occhi, ciocche di capelli, mani, persino intere figure. Si divertiva nel tentare di riconoscerle, di dar loro un volto, un nome.
Si immerse a tal punto in quel gioco che ad un tratto, e non si stupì, apparve l’immagine di Alma, sua madre, così nitida, così vicina, così presente da percepirne il profumo, da scorgerne i dettagli, da udirne chiara la voce – Vito, Vito, non distrarti, smetti di sognare ad occhi aperti! Leggi! Studia!-
Il suono di quella voce, roca, calda, piena, gli riempì gli occhi di lacrime che non trattenne. Si abbandonò ad un accorato pianto che sciolse nodi antichi del suo cuore, lenì ferite lacere mai sanate, vinse il gelo che lo attanagliava.
E con gli occhi del pianto vide ciò che era inciso nella sua anima.
Arrivò alle prime luci dell’alba. Il freddo e l’umido vestivano ormai evanescenti il piano del fondovalle che brulicava di uomini intenti a costruire una strada che l’avrebbe attraversato. Lavoravano attorno ad vecchia cascina che occupava il centro della piana, posizione di privilegio per chi un tempo l’aveva abitata e ne aveva coltivato i campi, oggi intralcio per la costruzione di una nuova strada. La cascina mostrava i segni di un remoto abbandono. Di un corpo vigoroso restava una vuota carcassa: i muri portanti fradici di muffa che li aveva indeboliti e sbriciolati non avevano più colore se non quello della desolazione, il tetto sfondato in più punti sembrava una bocca senza denti, gli infissi scardinati e appesi sbilenchi lasciavano intravvedere stanze vuote divorate dalle erbacce, dei numerosi comignoli che avevano sfidato il vento non v’era più traccia, il cortile era completamente invaso e soffocato dai rovi forse nipoti degli antichi rosai, le travi del solaio della stalla crollata davano dell’intera casa l’idea che fosse stata trafitta da frecce mortali.
Dal cantiere giungeva il vociare confuso di mille voci affannate.
Poi d’improvviso un nitido grido diffuse nell’aria – Va, la mina! Va la mina!- Ed in pochi istanti un silenzio ed una calma di morte occuparono l’intera vallata.
Un grande boato fece tremare i vetri dell’auto ferma sulla collina poco lontana, prima che si formasse una fitta ed alta nube di polvere che finì per inglobare e far scomparire ogni cosa.
Ma i suoi occhi, o forse il suo cuore, penetrarono la nube, e vide ciò che ad altri non era concesso.
Una voce maschile, imperiosa, irritata, ruppe il silenzio di un mattino ancora senza colori e risuonò nel grande cortile spazzato di fresco dove gli attrezzi da lavoro appoggiati in fila al muro del fienile facevano brillare il grigioargento delle lame appena affilate.
– Ogni giorno la stessa storia – l’uomo urlò.
Un sonoro ceffone diffuse le sue vibrazioni nell’aria.
– Quante volte ti ho detto che voglio trovare il secchio pieno d’acqua quando mi alzo. Fila a prenderla! –
Con un cigolio di vecchio s’aprì l’uscio in cima alle scale ed una bimba con un secchio in mano prese a scendere gli scalini.
Aveva i capelli castani, un poco mossi; gli occhi erano marrone, come il bosco in autunno quando gli alberi incominciano a spogliarsi, con alcune venature mielate; magra ed alta, affilata come la lama di una falce, appariva teneramente sgraziata nei suoi passi assonnati. Non le riusciva di svegliarsi presto; ed ogni giorno, per lei, cominciava in quel modo. Vestiva una sottana sgualcita e piena di toppe, tanto lunga e larga da lasciare scoperte le piccole mammelle immature. Andò a riempire il secchio nel pozzo dietro la casa. Nella cucina una donna non più giovane, i cui occhi guardavano da tempo solo la superficie delle cose, si affannava ad attizzare un fornello a carbone sul quale un bricco screziato aspettava di riscaldarsi.
Un fischio la convinse a desistere ed ad accorrere nella stanza accanto, la sua camera da letto che, dopo la morte del marito, condivideva con un uomo.
Il nome di costui era Barnaba, ma per semplicità in paese lo chiamavano Barabba e certamente gli si addiceva di più. Una corporatura tozza e grossolana, i capelli corti a spazzola, l’occhio sanguigno e mani dure e callose delineavano una figura aggressiva che destava timore. Barnaba aveva cominciato a frequentare quella casa da semplice bracciante, dapprima chiamato a giornata, poi divenuto lavorante fisso ed infine fattore. Alla morte del padrone aveva preso in mano le redini dell’azienda e con quelle anche il compito di consolare la vedova, donna debole e bisognosa di conforto.
Seduto sulla sponda del letto l’uomo aspettava impaziente che la donna lo servisse.
Lei dall’armadio prese un paio di braghe e gliele porse.
– Quella bambina ricorderà a lungo le tue carezze, – disse sottovoce – un giorno o l’altro finirai per accopparla. –
– Pensa a fare le tue cose – rispose lui – che all’educazione di quella bast… bambina, come dici tu, ci penso io. –
– Non dire quella cosa – replicò supplicante la donna – non vorrei che ti sentisse! –
L’uomo finì di vestirsi, andò in cucina e si sedette al tavolo.
– Un giorno o l’altro dovrà pur sapere di che razza é – bofonchiò irritato mentre sorbiva una tazza di caffé.
La porta della casa si aprì lentamente senza rumore spinta dalla mano della bimba che con l’altra trascinava il grande secchio pieno d’acqua. Lo poggiò appena dentro e, risollevatasi, si fermò sull’uscio.
– E’ magra come un chiodo, la faccia lunga, un aspetto malaticcio, i piedi enormi. Vorrei proprio sapere chi é quel bischero…- il discorso dell’uomo si interruppe quando voltandosi si trovò gli occhi della bimba dentro i suoi.
Tentò di superare l’attimo di imbarazzo dicendo ironicamente – Già stanca di primo mattino? –
La profondità dello sguardo che lo penetrava gli fece perdere le staffe. A stento si contenne.
– E’ ora di occuparsi delle mucche, fila nella stalla – sibilò, non volendo vedersela di fronte.
– Vuoi un poco di latte ?- chiese la donna alla bimba che usciva, ma per tutta risposta poté solo vedere le sue magre spalle scivolare lungo la scala.
-Anche poco rispettosa, non vedi? – disse l’uomo – Mandala a scuola tu, ad imparare, che poi ti ripaga in questo modo! –
Andò nella camera da letto e finì di vestirsi. Affacciandosi alla porta, mentre si abbottonava la camicia, si rivolse alla donna – Bisogna che vada in paese stamane; devo incontrare Matteo, quel tirchio, mi ha chiesto di vendergli una mucca. Potrei dargli la Ruga, quella che ha la cicatrice, oppure potrei dargli la tua “vacca”, ah,ah,ah! – rise grasso adocchiando dalla finestra l’esile figura che entrava nella stalla – e non a peso perché é troppo magra. Tornerò per il pranzo. –
Mentre usciva, in modo da essere sentito anche nella stalla dalla bimba, disse ad alta voce  – Vedi di far trottare quella bestia, dopo che avrà ha finito nella stalla che vada a dar l’acqua al granturco -.
Solo allora discese le scale e a passo svelto di diresse verso il  paese.
– Alma, Alma – chiamò la donna affacciandosi all’uscio della casa.
– Alma, Alma – ripeté scendendo le scale che portavano al cortile ed avviandosi alla stalla. Su un mucchio odoroso di fieno giaceva la fragile figura. Si era riaddormentata. Un nuovo silenzio si era diffuso nell’aria mentre il giorno cominciava a prender luce.
La donna entrò nella stalla e scorse la bimba. – Alma, Alma – sussurrò. Giuntale accanto si chinò su di lei e la sfiorò sulla guancia con le labbra. L’avrebbe voluta abbracciare, stringere a sé, ma troppo duro sentiva il suo cuore, troppo stanca la sua mente per affrontare una emozione così forte. Da tempo non le era stata così vicina. Ne sentì il profumo, quel profumo di una vita che deve ancora sbocciare e che il gelo dell’inverno stringe, come in una morsa, nel ghiaccio.
Rimase un poco così. Avrebbe voluto svegliarla, parlarle, spiegarle. Sapeva che l’avrebbe capita. Tese il braccio e la mano ad una carezza sul capo, ma non vi arrivò, la mano rimase discosta. Senza rumore si alzò ed uscì dalla stalla.
Fuori il giorno affrontava la vita. Un sole pallido illuminava il lavoro nei campi di una moltitudine sparsa, china sulla terra, segnata nel volto da una disillusa speranza di vita migliore.
Nel piccolo cimitero del paese Alma, ormai ventenne, si prendeva cura della tomba della madre. Alle linee che disegnavano la gracile figura di fanciulla si erano sostituite definite forme di giovane donna. I capelli castani appena ondulati incorniciavano un volto dall’incarnato chiarissimo nel quale spiccava il colore marrone mielato dei grandi occhi. I lineamenti erano netti ma morbidi. Le mani aspre dalle dita lunghe maneggiavano con garbo i fiori che ella sistemava ai piedi della lapide. Le braccia scoperte lasciavano intuire le curve aggraziate delle forme nascoste ed una vigoria che poco si conciliava con la delicatezza della pelle.
Due anziane donne, finte oranti, poco lontane da Alma pettegolavano sottovoce, cucendo e disfando un  logoro abito di vuote parole – Non capisco il perché di tante cure, la madre con lei non é stata mai tenera, e poi … permettere a quel Barabba… a casa sua!
– Mi hanno detto che lui, il patrigno, da quando é morta la vecchia, le ha messo gli occhi addosso, e vedrai se… –
– Quello scellerato potrebbe avere il coraggio! –
– Potrebbe? C’è l’ha sicuramente. Un giorno o l’altro succederà.-
Alma, andando via, passò davanti alla due donne senza vederle, assorta come sempre in un mondo di pensieri che nessuno conosceva. L’attitudine ad un passo slanciato e sicuro ne accompagnava l’immagine mentre usciva dal cimitero.
– Ogni tanto la vedo parlare con quel meridionale, quel Nicolò -continuarono a tagliare i panni le due megere
– Se lo sa il patrigno sono guai –
– L’aspetta un mare di guai, poverina! Mah!
– E’ la vita e lei sembra l’abbia segnata! –
– Ah, ti devo dire della Paola, ascolta bene, una cosa incredibile… –
Giunta nella piazza Alma si diresse ed entrò nel bar di fronte al Municipio. Ogni volta che ciò succedeva il vociare alto degli avventori si trasformava in brusio, cento occhi la scrutavano, l’avvolgevano, la sfioravano, ma con timore. Poteva essere percepita l’aria di soggezione che incuteva.
Avvicinatasi al banco accennò un sorriso indirizzato al barista.
– I soliti due litri per il tuo patrigno?- domandò l’uomo – Basteranno? – disse, e rise a bocca piena, provocando l’ilarità dei presenti.
Alma, che era intenta ad osservare il manifesto di una reclame sulla parete della sala, rigirando il capo lo guardò dritta negli occhi e lo gelò, ricacciandogli il riso in gola. L’uomo sparì nel retrobottega. Mentre attendeva che tornasse col vino Alma andò a sedersi ad un tavolo libero accanto al bancone. Poteva vedere tutti gli avventori che all’incrociare del suo sguardo abbassavano il proprio.
Una voce ruppe il disagio che aleggiava.
– Avremo il piacere di poter vedere la signorina Alma alla festa della metà di settembre, quella del patrono? – disse Guido che accampava una tanto dichiarata quanto presunta nobiltà. Era uno di quelli che contavano, proprietario di molti fondi, padrone delle risaie più fertili, gaudente impunito. Quello che si dice un bell’uomo. Si alzò dal suo tavolo e si diresse verso quello di Alma.
– A tutte le ragazze piace ballare! La conosciamo per un tipo molto riservato signorina Alma, ma per una volta, sarebbe la prima é vero?- ammiccò, girandosi per cercare il conforto della platea, – Eppoi  saremmo tutti lieti di poter godere della sua presenza, e quando dico tutti, non esagero…! –
Guido non aveva, nonostante la naturale sfrontatezza, il coraggio di sedersi. In piedi, di fronte a lei, aveva assunto l’atteggiamento di chi lancia una sfida. Alma lo conosceva bene, più d’una volta lui aveva fatto in modo d’incontrarla per strada e l’aveva accompagnata per qualche tratto. Ne approfittava per raccontarle di sé, delle sue intraprese, anche sentimentali. Lui parlava senza aspettarsi risposte, lo faceva senza timore perché sapeva che quei discorsi non sarebbero stati riportati ad alcuno. Lei non lo aveva mai allontanato, lo ascoltava senza commenti di nessun genere. A lui piaceva questa sorta di rapporto con Alma, che giudicava intelligente e che suscitava in lui una grande attrazione, ma non si era mai permesso di esternarle questi suoi pensieri.
– Allora, potremo avere il piacere, signorina Alma? – insistette Guido. Tutti attendevano la replica. Alma lo squadrò per intero, in realtà non le era sgradito, sorrise – Non ho mai partecipato, mi sentirei di rifiutare subito, ma a un invito così cortese bisogna dare almeno una possibilità. Prometto che ci penserò. –
Era intanto tornato l’oste col vino. Guido raggiante per il successo conseguito, l’aver ottenuto almeno una vaga promessa, accompagnò Alma fin sull’uscio del bar – A nome di tutti, me compreso – disse felice, e dal tono della voce si capiva che era davvero felice – le porgo, signorina Alma i miei rispetti. E’ stato un piacere.-
Uscendo Alma lasciò dietro i suoi passi una fragranza che per l’olfatto di Guido fu come una fiammata sulle stoppie abbrunate dal sole.
In un pomeriggio caldo ed assolato, lungo la strada, mentre rientrava a casa in bicicletta, Alma vide Nicolò che aiutava il vecchio Zenobio, ancora una volta ubriaco, ad uscire dal fango del canale di irrigazione dove era scivolato. Nicolò trattava il vecchio con molta tenerezza. Lo rimise in piedi, tentò di ripulirlo dal fango, lo sostenne mentre quello si avviava traballante e lo accompagnò dicendogli – Verrò a portarti da mangiare questa sera, fatti trovare, non sparire.-
Alma, che conosceva bene il vecchio Zenobio, si era fermata ad osservare la scena, ma più che a quella era interessata a Nicolò che aveva incontrato altre volte. La prima era stata qualche tempo addietro mentre lei tornava al cimitero e lui era intervenuto per allontare un cane randagio che la molestava. Poi spingendo a piedi la bicicletta sgangherata, tenendosi al suo fianco, l’aveva accompagnata senza parlare. Prima di giungere in piazza le aveva sorriso ed era tornato indietro.
Negli incontri successivi si era stabilito un rituale che veniva sempre rispettato, lui scendeva dalla bicicletta, l’affiancava e l’accompagnava senza parlare. Si limitava a sorriderle ed a guardarla intensamente. Alma era lusingata da quegli sguardi ed stupita dall’interesse palese di quell’uomo più grande di lei.
Di Nicolò si sapeva che era un emigrato che veniva dal sud, che abitava in una piccola casa poco distante dal cimitero, fuori dal paese, che era di poche parole, che non era tagliato per il lavoro dei campi. Non aveva rapporti con i paesani, sembrava li rifuggisse. Unico interlocutore era proprio Zenobio col quale aveva instaurato un rapporto amichevole, forse perché accomunati dallo stesso destino di solitudine.
Questo era quanto si sapeva di Nicolò, ma Alma, incuriosita, ne voleva sapere di più.
Anche l’incontro di quel giorno però non servì ad approfondire la conoscenza perché nessuno dei due osò parlare.
Alma allora decise, vincendo una forte riluttanza, di andare a trovare Zenobio, che, amico di Nicolò, l’avrebbe potuta aiutare, o almeno così lei pensava. Zenobio l’aveva accolta affettuosamente.
– Sei qui per cercare notizie di qualcuno, ed anche a cercare guai!-
le disse il vecchio con aria pensierosa
– Ti ho aiutata a soffiarti in naso più d’una volta, ti ho vista crescere, ho seguito tutti i tuoi passi. Sai che per te ho avuto sempre un debole ed é  per questo che vorrei evitarti… –
Alma lo interruppe – Credo di aver dimostrato più d’una volta di essere capace di cavarmela, e se chiedo di avere qualche notizia di Nicolò non significa che sono già nei guai. –
Zenobio capì che non v’era possibilità alcuna di farla desistere. La conosceva per testarda e sapeva di non poterla cambiare.
– So che vi incontrate e che nessuno dei due ha il coraggio di parlare. E questo me lo ha detto Nicolò. – La guardò dritta facendole capire che non v’era nulla di suo, nessun commento personale. – Lui ha voluto sapere di te, e tu, ora, chiedi di lui. Cosa ti debbo dire, Alma! Penso che due persone che hanno già guai per conto proprio farebbero bene a stare alla larga l’uno dall’altro. Ma visto che siete tanto decisi! Lui é un uomo che saprebbe parlare al tuo cuore, ti farebbe bene ascoltarlo. Tu, é vero sai tante cose, sei molto intelligente, ma lui saprebbe aprire la tua mente, allargare il tuo orizzonte. Per lui tu saresti il suo ritorno alla vita, smetterebbe di vivere in solitudine. Lui ha bisogno della tua vitalità. Direi che avete molto in comune. E poi sarebbe il caso che incominciaste a dirvi qualcosa, a parlare tra voi senza mettermi in mezzo! –
– Spiegami cosa significa “aprirmi la mente” e poi “per lui il ritorno alla vita”? – domandò Alma accattivante.
– Ascolta, se tu e lui parlate capisci le cose senza nessuna difficoltà. Ora ti prego lasciami che ho da fare – rispose  spazientito Zenobio.
Col suo atteggiamento Zenobio avrebbe voluto spingere Alma lontana da Nicolò, ma, come spesso accade, i buoni consigli dei grandi non sortiscono l’effetto desiderato. Anzi!!
E così quando si rincontrarono, femminilmente pudica, Alma prese la parola vincendo il ritegno – Non ho mai conosciuto mio padre e ho perso mia madre qualche anno fa. Ti avrà detto Zenobio che sono un po’ strana, diversa. Io però non mi sento così. Quello che so é che mi é difficile dialogare con la gente, aprirmi, parlare dei miei sentimenti. Sento che lo vorrei. Ci vorrei provare almeno! Ma…!-
– Non sei strana, solo non hai ancora capito che appartieni ad una specie rara di  persone, per le quali il destino ha scelto una via più difficile, più dura. E meno chiara. Tutto di te lo dimostra. Il tuo corpo, la tua voce, i pensieri, le tue mani. Sì le tue mani! C’é in te il timore degli altri, ma dovresti sapere che ciascuno di noi appartiene anche agli altri, e per loro dovrai sacrificare del tuo. Non devi fuggire, devi solo colmare il divario che ti separa! Se riuscirai a stare in mezzo alla gente imparerai mille cose e potrai dare loro quanto nascerà dal tuo animo. Ti vedo come fiamma che accende,  brucia, dà luce. Agli occhi, al cuore degli altri, al mio cuore! –
Queste parole di Nicolò aprirono in Alma uno squarcio nell’animo. Avvertì un turbamento. Sentiva mutare il suo io nel profondo. Capì che una dimensione nuova si appressava, un nuovo orizzonte, più ampio, avrebbe sostituito il precedente.
La gente, che quella domenica pomeriggio di settembre usciva dalla chiesa dopo la funzione, veniva attratta dalla musica proveniente dal piazzale antistante il vecchio castello, a fianco della imponente casa che da generazioni aveva ospitato i medici del paese. Nello spazio disponibile, che andava affollandosi per la festa settembrina, la più importante, era stata montata la giostra ed il palco dal quale l’orchestrina diffondeva le note di polke, valzer, mazurke.
I cavalieri erano in attesa delle dame, sempre più numerose degli uomini, per effetto dell’evento bellico che si era appena concluso. E tra questi Guido, nell’attesa di Alma,  dissimulava l’impazienza vociando e gesticolando esageratamente con un gruppo di amici.
Alma si era preparata con cura.
Aveva messo una camicia bianca, ricamata, aperta sul petto, una gonna a pieghe morbida sotto il ginocchio, un paio di scarpe basse di foggia maschile. Completava l’abbigliamento una sciarpa di seta, appartenuta alla madre, di color rosso scuro, sulla quale aveva versato qualche goccia di profumo di lavanda.
Era luminosa e, pur nella semplicità, elegante.
Nell’avvicinarsi al palco, passando tra la gente, a Guido non poté sfuggire il fatto che ella si distingueva in modo netto, nel passo, nel portamento, nei gesti. Era anche cambiata rispetto all’ultimo incontro, la percepì più grande, più donna, senza sapersi spiegare il motivo.
Questi pensieri avevano assorbito Guido per qualche attimo e quando si riebbe Alma gli era ormai vicina. Si premurò di andarle incontro.
– Salve – salutò Alma.
– E’ proprio un incanto stasera signorina Alma – replicò Guido un poco impacciato.
La condusse al tavolo che aveva in precedenza occupato e fu felice di farla conoscere ai suoi amici ed alle sue amiche, tutta gente che dimostrava apertamente l’apparteneza ad una classe sociale elevata. E di questo si compiaceva Guido che da quelle amicizie traeva prestigio.
Le presentò un suo vecchio compagno di studi
– Questo é Ermanno, un’enciclopedia vivente, sa tutto o quasi. Da quando però si interessa di questioni sindacali, dopo averci tradito, é un problema dialogare con lui. E lei é Alma, te ne ho già parlato. Che ne dici, é come l’ho descritta? –
Ermanno strinse la mano di Alma che lo scrutò attenta.
– Non lo prenda in parola, signorina Alma. Lui tende ad esagerare sempre. Non dice mai la verità. Neanche nel suo caso é stato sincero. Lei é migliore di come la descrive. –
Alma sorrise abbassando gli occhi un poco intimidita. Non era abituata a compilmenti così palesi.
– Il signor Guido allora non le ha parlato dei miei difetti – disse riprendendosi subitanea – e non sono pochi. –
Guido intervenne – Non siamo qui per fare l’elenco dei difetti di nessuno. Eppoi Alma non ha difetti. Sei d’accordo Ermanno? Credo sia giunta l’ora di divertirsi. –
Trascinò Alma in pista sulle note di un valzer. Tenendola vicino a sé nelle volute del ballo respirava il profumo che lei emanava ed avvertiva sul corpo le forme nascoste di lei, il seno, il ventre, le coscie. Si sentiva inebriato. Cresceva in lui un violento desiderio e il timore che Alma se ne avvedesse lo fece arrossire d’un tratto.
– Il caldo é feroce, non credi? Vuoi che smettiamo di ballare? Più tardi se vuoi potremo riprendere. – Le si era rivolto dandole del tu senza accorgersene e ciò dimostrava il disagio. Tornarono al tavolo ed Ermanno ne fu felice.
– Guido, che succede, non ce la fai più? Ci dobbiamo preoccupare? Non sarà per caso che gli stravizi…? Scherzo naturalmente. Ora é il mio turno. Alma gradisce? – la invitò a tornare in pista Ermanno.
Ad Alma non piaceva molto ballare, lei preferiva stare seduta ad osservare la gente, ma non si oppose.
Ermanno la guidava con maestria tra la coppie – Le sembrerò sfacciato signorina Alma, ma mi sento di dirle che non capita di frequente di incontrare in queste feste paesane ragazze così aggraziate e distinte. Non mi giudichi male per ciò che le ho detto. E’ solo una constatazione che nulla toglie, anzi direi che accresce, l’estremo rispetto per lei. – Ermanno ballava e parlava.
Ad un tratto l’espressione del viso di Alma lo convinse ad abbandonare la pista. Si era stancata del ballo, e così tornarono al tavolo, in quel momento vuoto, poiché tutti si erano allontanati, e lui ne approfittò per parlarle a lungo, di sé, del suo lavoro, delle lotte sindacali, delle difficoltà, della necessità di far arrivare anche in periferia, nelle campagne, una vera coscienza sociale.
– Quello che occorre oggi é che qualcuno abbia la pazienza e la voglia di andare in giro per questi piccoli paesi a spiegare alla gente che bisogna innovare, superare il vecchio, facendo posto a nuove idee, nuove facce. Se questo qualcuno é poi del posto l’azione può divenire veramente proficua. – Alma lo ascoltava con interesse. – Nessuno é disposto a modificare le proprie abitudini, nessuno ama mettere in discussione i propri equilibri. Ma é vitale cambiare. Capita anche nel mondo della cultura: chi sa non accetta le nuove proposte che vengono dai giovani, che talora stravolgono… – Ora Alma non lo seguiva più.
Mescolato tra la gente, ai margini del gran movimento, aveva notato, solo con i suoi pensieri, Nicolò. Quell’immagine in tutto quel trambusto suscitò in lei una profonda tenerezza. Lo sapeva estraneo a quella moltitudine, a quell’avvenimento, e se per un attimo fu perplessa  sul perché della sua presenza, subito dopo capì che era lì per lei. Aveva sentito il bisogno di vederla e si era avventurato in quel mondo per lei.
Guido in quel momento ritornò al tavolo – Non la vorrai mica annoiare con le tutte quelle chiacchere? – disse interrompendo i discorsi di Ermanno ed il filo dei pensieri di Alma.
– Movimento, divertimento. E da bere. Eppoi dobbiamo ballare, ballare. Oggi é un giorno speciale, Alma, la signorina Alma, ci ha onorato con la sua presenza e bisogna festeggiare. – Ed il festeggiamento si protrasse a lungo e per Alma fu difficile convincere Guido, sin troppo euforico, che doveva tornare a casa presto se voleva evitare discussioni col patrigno. – Preferirei evitare, qualsiasi sorta di dialogo col mio patrigno é una pena per entrambi.-
– Ma ti accompagno io, parlo io con quel vecchio burbero. Col Guido non può prendersela. Sai per via di certi affari fatti insieme. –
– Sarà, ma insisto per tornare al più presto. Ho un vago presentimento. –
– Allegria, é una sera di allegria. Non pensiamo a quello che deve accadere. “Io me ne frego”, lo dicono quelli che diventeranno importanti. –
Un tira e molla estenuante fece l’ora tarda e quando Guido, che ostinatamente non si era lasciato dissuadere dall’ accompagnarla, la condusse a casa, tutto il suo coraggio di parlare al vecchio gli venne meno.  Alma sapeva cosa l’attendeva. Entrando trovò il patrigno seduto davanti al camino quasi spento che rigirava con le molle le ultime braci nella cenere. Alma si fermò in piedi davanti al tavolo ed attese. E quando il patrigno si voltò si rese subito conto che era ubriaco.
– Ho capito chi ti accompagnava, e non é difficile intuire il perché del ritardo. Quello scopasuore ha bevuto dalle tue coppe stasera? –
Tentò una risata, ma l’atteggiamento fermo di Alma gli fece perdere il controllo che aveva deciso di mantenere. Lei lo guardava diritto appoggiata con le mani alla spalliera di una sedia. Lui si alzò con lo sguardo minaccioso e, dall’altra parte del tavolo, incominciò a riversare su Alma una fiumana di improperi, di insinuazioni.
– Se non fosse per ciò che ho promesso all’anima di tua madre! Ah! Proprio una figlia come te le doveva capitare! Beh, se vogliamo dirla tutta, non é poi tanto strano. Sei tutta tuo padre. Ah, tu non sai chi é tuo padre. Vero? Tua madre non te lo ha detto! E come poteva! Forse non lo sapeva neanche lei. Ma io lo so chi era, piccola bastarda. Un delinquente, un figlio di puttana. –
Alma impassibile aspettava che si sfogasse per intero. Era ciò che il patrigno aveva sempre desiderato, ma inibito da un bigottismo che lo permeava, aveva evitato sino a quella notte. Temeva le chiacchere dei vicini, dei suoi lavoranti, le critiche del prete, e perciò aveva sempre evitato lo scontro.
Ma quella notte, in preda ai fumi dell’alcool, ogni argine era stato superato e come un fiume in piena strarìpa, così le sue parole gli uscivano di bocca senza alcun freno.
– Puttana, sei una puttana! Si vede da come ti conci, ti profumi. Perché la signorina si profuma, e con i soldi miei, che la sfamano, che la vestono, che fanno sì che gli altri la chiamino signorina. E invece lei, ah, bella gratitudine, va a darla in giro. Ti piacciono gli uomini, e dillo che ti piacciono, tanto quelle come te io le conosco bene. –
Girando intorno al tavolo le si approssimò.
– E dillo che ti piacciono! Che la notte ti agiti pensandoci.Ti ho sentita, sai! –
Le era oramai dappresso, Alma ne avvertiva il fiato corto, ansimante, avvinazzato.
La afferrò per le braccia, la scosse con forza.
– E allora, signorina Alma, non parla? Fa la sostenuta? Ti faccio ribrezzo, si vede dalla faccia schifata che hai. Ma anche tu mi fai schifo. Non ti ho mai sopportata. Da quando eri piccola, magra e con tutte le ossa in risalto, uno spaventapasseri. Ma te ne ho fatte passare! Le ricordi anche tu? Vero? –
Ormai al culmine dello sfogo, vinto dalla bile, le vomitò addosso, e si accasciò ai suoi piedi.
Il misero singhiozzava e farfugliava, assieme ai singulti, frasi incomprensibili.
Alma andò nella sua camera, si cambiò lasciando per terra gli abiti zuppi di vomito, tirò fuori dall’armadio le poche cose che le appartenevano, le mise alla rinfusa in una consunta borsa di cuoio, dove ripose con cura anche una vecchia foto della madre che teneva sul comodino in una cornice di legno intagliato. Avviatasi all’uscio della stanza, prima di uscirne, si voltò indietro e per un attimo meditò il gesto che stava per compiere. Si rese conto di non avere nessun dubbio.
Lasciò la casa materna con la bruma del mattino.
Senza esitazione diresse i suoi passi verso la casa di Nicolò all’uscita del paese, dietro il cimitero.
Attraversò la piazza, a quell’ora deserta, con la vecchia borsa in mano e con la sensazione che una parte della sua vita si chiudeva. Nulla sapeva di quello che le sarebbe accaduto, ma si sentiva libera. Finalmente libera. E forse un poco felice.
Gli scurini chiusi delle case che superava nel suo incedere le apparivano come le bocche serrate dei bugiardi quando vengono colti in fallo. La strada ed i vicoli le sembravano i vuoti discorsi delle pettegole che servono solo a congiungere, a connettere, un accadimento ad un altro, senza una propria autonomia, senza una propria anima. Il cielo pieno di stelle invece le appariva la dimensione giusta per i suoi pensieri, molti dei quali erano ancora confusi, ma sicuramente non disposti a confini di sorta.
Non si era mai sentita così.
Bussò all’uscio della piccola casa ed attese. Dalla finestra usciva una luce fioca. Nicolò aprì.  Non si dimostrò sorpreso di vedersela dinnanzi.
Si fissarono per qualche attimo.
– Prego entra pure. Non dormivo – disse mentre si scostava dalla porta per farla passare. Le prese la borsa dalle mani e la poggiò sul tavolo vicino al muro.
– Dormirai qui, io mi sistemerò qui vicino al camino.-
Rassettò il letto e la fece accomodare. Tirò uno spago da un lato all’altro della stanza e vi dispose sopra un lenzuolo a dividere lo spazio. Occupò quello vicino al fuoco, dove due tizzoni ancora ardevano, e stendendo una coperta per terra, disse – Mi devo alzare presto, domani avremo il modo di parlare. Non ci saranno problemi. Credo. Buonanotte. –
Prima di tirare il lenzuolo che li divideva le sorrise e questo fece sentire Alma a suo agio.
Seduta sul bordo del letto guardava quel mondo. Non aveva fretta di coricarsi, di dormire, tanto il mattino dopo, aveva deciso, se lo sarebbe preso libero. Assaporava il gusto di quella nuova condizione.
Con calma sistemò le poche cose che aveva portate con sé, si svestì, mise una lunga camicia da notte, spense con un leggero soffio il moccolo, si infilò nel letto, che non era comodo come il suo, ma il tepore lasciato dall’uomo glielo fece sembrare accogliente.
Poteva pensare a tutto ciò che voleva, senza vincoli, ma la stanchezza la vinse e sprofondò in un sonno senza affanni.
Quando Alma riaprì gli occhi il giorno era già avanti, erano le sette, e per chi é abituato ad alzarsi all’alba, le sette sono un’ora da signori.
Si sedette sul letto, scostò il lenzuolo e vide che Nicolò non c’era. La luce del giorno illuminava l’ambiente ed impietosa mostrava quanto spartano fosse quel vivere. Vi era solo l’essenziale in quella casa, ma ogni cosa era in ordine ed era linda e ben tenuta.
Si vestì ed uscì sull’uscio. A fianco della dimora vi era un piccolissimo orto con due filari di verze, qualche cipolla ed un cespuglio di rose. Sentì stringersi il cuore per una così severa condizione, ma fu per un attimo.
L’avrebbe divisa, e senza timori e rimpianti. Capì che un prezzo si deve pagare per vivere liberi coi propri pensieri.
Un gatto bastardo si fece avanti miagolando e passando tra le sue gambe entrò nella casa
– Anche tu sei andato via da casa? E magari avresti l’idea di sistemarti da noi? Ma non vedi che non c’é posto neanche per me! Mah, a stringersi un poco! Hai fame e vorresti qualcosa da mettere sotto i denti. Un vero problema. Per te oggi ho solo una carezza! –
Ed allungò la mano su di lui che inarcò la schiena.
– Per oggi devi accontentarti,  domani speriamo che vada meglio. Devo trovare un lavoro, anche per sfamare te, mio caro micio. Oggi sarà un giorno di penitenza, ogni tanto fa bene. –
E tra questi discorsi incominciò, in compagnia del gatto che si sdrusciava sulle sue caviglie, a mettere in ordine la dimora, a lustrare i pochi mobili, a lavare i panni di lui che aveva trovati sporchi in un cassettone.
Qualche ora più tardi si recò in paese per fare un poco di spesa con quei due soldi che aveva potuto partare con sé. Entrò al mercato e subito si diresse dal macellaio.
– Salve Tommaso, mi serve….
– E’ passato il suo patrigno e ha detto a tutti che lui non paga più quello che lei prende – la interruppe quello – se vuole qualche cosa deve pagarla subito. –
Tutti avevano rivolto la propria attenzione verso il banco di Tommaso  – Signorina Alma lei ci deve capire, io, noi vorremmo, ma lei sa bene….-
– Ti capisco Tommaso, avrei fatto anche io la stessa cosa. Grazie lo stesso. Ma perché tu sappia, ad uso di chi é curioso, non avrei mai preso nulla con i soldi del mio patrigno. E chi mi conosce sa che dico sempre la verità – replicò Alma e con calma si avviò all’uscita. Si sentì stringere il cuore, capì che una ulteriore frattura tra lei e la gente si era prodotta. Fu certa che altri problemi sarebbero sorti, che era solo l’inizio.
Da subito, infatti, il patrigno si era preoccupato di farle il vuoto intorno e di crearle ostacoli, a cominciare dal reperimento del cibo per finire a chissà quali altri impedimenti.
Camminando per le strade del paese osservava le persone che incontrava e si rendeva conto, dai loro sguardi e da come li abbassavano, che l’influenza del patrigno pesava certamente su quella povera gente. Pensò di tornare a casa, ma l’idea della sconfitta stimolava il suo orgoglio.
D’un tratto le sovvenne l’immagine e le parole della vecchia levatrice. Più d’una volta le aveva detto che qualora avesse avuto bisogno d’aiuto l’avrebbe trovato da lei. Senza indugi mosse verso quella casa.
Il giardino ben curato, era delimitato da due siepi di rose appena potate. L’ingresso, sotto una pensilina, era ornato da numerosi vasi di ogni misura e foggia.
Trovò la porta socchiusa, la spinse ed entrò.
– Alma sei tu? – chiamò la vecchia dalla cucina
– Si, sono io, signorina Celeste. –
Alma fece capolino nella cucina dove la vecchia ostetrica sgranava dei fagioli.
– Vieni avanti, ti aspettavo. E’ passato stamane il tuo patrigno e ho capito che ti avrei vista in mattinata. Ha fatto il giro di tutto paese, ha già minacciato tutti di  rappresaglie se ti danno aiuto. Quelli che teme li ha comprati con la promessa di favori. Al prete ha promesso il soldi per rifare il tetto del campanile. Al sindaco il suo appoggio alle prossime elezioni. Ti vuole affamare, non troverai lavoro neanche per una giornata. Povera figlia mia ti sei cacciata in un grosso guaio!
Siediti, che una soluzione la troviamo, a dispetto di quel maiale. Scusa se lo definisco così, ma se lo dico é perché ho cognizione di causa. –
Alma si accomodò su una seggiola bassa e con naturalezza prese a sgranare anche lei i fagioli.
– Non che voglia intromettermi nei fatti tuoi, ma era proprio il caso di andare a finire a casa di quel Nicolò? Saresti potuta venire qui ieri notte e tutto si sarebbe potuto appianare, ma così! –
– Non vorrei che si offendesse signorina Celeste, ma a dire la verità non mi é neanche passato per la mente – disse Alma pacata – mi sono diretta da Nicolò senza nessun tentennamento. Forse era una cosa che avevo già deciso senza saperlo e ieri notte é successo. Nicolò é diverso. Non ho bisogno di parlare con lui. Mi sembra che capisca i miei pensieri quando li sto appena formulando.-
– Benedetta figlia, tu e la tua fantasia! Per vivere, di questi tempi, non é sufficiente l’entusiasmo. Potresti mangiare con quello oggi? Affrontiamo i tuoi problemi. Ci organizziamo in questo modo. Sin tanto che non lo scoprono tu vieni da me ed io ti compro ciò che ti occorre. E così abbiamo risolto il problema più urgente. Poi é necessario trovarti lavoro. Qui in paese non se ne parla. In quelli vicini é più facile, si fa per dire. Conosco diverse persone. Mi ricordo di un fattore, un senzadio, a quello non importa nulla delle tue beghe. Ma stanne certa che ne approfitterà. Forse se vai con un mio biglietto non potrà dirti di no. E se nicchia ne conosco altri cento. Ed così anche questo sarà sistemato. Rimane il tuo patrigno e la gente. Per i pettegoli sarà la manna. E’ da molto tempo che non avevano un argomento così ghiotto. Per i bigotti sarà un vero scandalo. Per i più solo il fastidio che quel tuo patrigno saprà procurar loro. Per lui invocherò il diavolo che se lo porti all’inferno. E così finalmente vedrà i sorci verdi anche lui. –
Quell’atteggiamento così sicuro della vecchia levatrice restituì ad Alma la serenità che aveva perduta.
– Non so come ringraziarla. –
– Tu non devi farlo, tanto devo a tua madre. Fu lei l’unica ad accogliermi quando quarant’anni fa arrivai in qui, in questo paese. Qualcuno mi aveva preceduta con certe chiacchere ed avevo trovato sbarrata ogni porta. Si era dovuta imporre anche sul marito, influenzato, anche lui come gli altri, dalle chiacchere. Tua madre era una vera signora! E tu dovresti farle onore. Mah, non badare a questa ultima cosa che ho detto, perché in fondo la colpa non é tua. Sono tempi bui per tutti. Questa guerra ha creato uno scompiglio tale, eppoi sembra che la gente si sia bevuta il cervello! –
La vecchia si alzò con una certa agilità, considerata la notevole mole, trasse dalla madia un pane, lo mise in un cestino di vimini con un pollo già spennato, una parte dei fagioli che avevano sgranato, vi aggiunse una fetta di formaggio e lo porse alla giovane donna.
– Oggi farai festa col tuo Nicolò, per i tempi duri non ci sarà molto da aspettare. –
La sera sul tardi quando Nicolò rientrò a casa Alma aveva preparato un desco ben imbandito.
– E dire che per tutto il giorno ho pensato a come rimediare la cena per stasera! Non ero riuscito a risolvere il problema, ed invece! E’ allora vera la regola che dice che non ci si deve preoccupare oltre un certo limite, poiché se la soluzione esiste si presenta anche se noi non la cerchiamo, e se non c’é é inutile darsi da fare per trovarla. –
disse Nicolò non troppo stupito.
– Tutto il merito é della signorina Celeste, la vecchia ostetrica. E’ stata lei a darmi tutto questo ed ha detto che oggi dovevamo fare festa. Credo che anche tu le sia simpatico. –
Mangiarono osservandosi e soppesandosi un poco impacciati.
Alma scrutava con attenzione Nicolò.
– Da chi hai preso quei capelli neri? –
– Credo dal nonno materno – rispose lui imbarazzato. Non era aduso a quel genere di domande.
– E quel colore di pelle olivastro? continuò Alma che lo indagava in ogni sua minima piega.
Nicolò era di media statura, ai capelli neri lievemente ondulati sulle tempie associava uno scuro profondo degli occhi, che, e si vedeva subito, erano capaci di oltrepassare la superficie delle cose, di penetrare i discorsi ed intromettersi nei pensieri altrui. Una pelle levigata, d’un olivastro chiaro, rendeva luminoso il viso ed ingentiliva il corpo. I denti bianchi e ben allineati addolcivano in modo accattivante il sorriso. Le spalle, il collo, il tronco vivevano una equilibrata armonia.
– La pelle é quella di mia madre, di lei dicevano che avesse un qualche tratto arabo. Ma dimmi cosa cerchi, cosa vuoi sapere Alma, forse fai prima? –
La brusca risposta di Nicolò mise a disagio Alma che abbassò gli occhi e per il resto della cena stette in silenzio.
In entrambi si agitava un imbarazzo palpabile. Se era sembrato facile l’ingresso di Alma in quella casa la notte precedente, ora, la sua permanenza appariva irta di difficoltà e di insidie.
Terminata la cena Alma rassettò con gesti rapidi e prima di ritirarsi dalla sua parte andò, controvoglia, vincendo un naturale orgoglio, a salutare Nicolò che nel frattempo si era accomodato su una panca vicino al camino ed aveva preso a scrivere su un piccolo diario.
– Buonanotte Nicolò – si sforzò di trovare un tono gradevole Alma.
– Scusami per poco fa – rispose lui – devi capirmi. Non sono abituato a sentire parlare in questa casa. Se poi mi poni delle domande! Credo che non sarà facile, ma con un po’ di buona volontà….Buonanotte anche a te. –
Nel letto Alma, in preda al travaglio, avrebbe voluto morire, liberare il suo cuore, le lacrime, ma come da sempre faceva, represse in silenzio tutti i moti dell’animo. Pensò che ancora una volta il tentativo di aprire un vero dialogo si risolveva in un fallimento che la costringeva ad erigere altre barriere. Si vide in un vicolo cieco. Eppure aveva creduto di avere capito, di avere…
Per fortuna si addormentò vinta dal sonno.
I giorni, le settimane, i mesi che seguirono furono duri, difficili. Alma e Nicolò trascorrevano la giornata divisi, entrambi al lavoro, poi si incontravano la sera per una cena frugale. La vita in due in quella piccola casa imponeva restrizioni e limitazioni che accettarono inizialmente con la consapevolezza della mancanza di alternative. Anche la comunicazione verbale era limitata dalle oggettive resistenze di entrambi ad attivarla : scambiavano solo poche parole, lo stretto necessario.
Eppure nonostante questo soffocante colletto il rapporto approfondiva le sue radici e li penetrava inconsapevoli : il tempo li andava conformando l’uno all’altro e proprio per questo fu, ad un certo punto, naturale che ricominciassero a dialogare.
Il Natale quell’anno fu festeggiato con un augurio ed un sorriso che si scambiarono in quella giornata, per il resto eguale a tutte le altre. Alma andò a seguire le funzioni religiose in chiesa e forse avrebbe fatto meglio a non recarvisi poiché, nonostante si fosse quasi nascosta in un angolo della prima cappella, chi le era vicino si allontanò volendo chiaramente dimostrare il proprio biasimo e la propria disistima per le scelte che aveva messo in atto. Fu il peggior Natale che Alma avesse vissuto, il più triste, il più buio e tutti questi sentimenti negativi erano stemperati solo dalla speranza che sarebbero seguiti tempi migliori.
– Io credo che quando tutto sembra crollarti addosso – disse Alma a Nicolò, rientrando dalla chiesa, dopo avergli raccontato quanto era successo – quando il mondo trema sotto i tuoi piedi, allora, proprio in quel momento, si può pensare che sta per cambiare la tua sorte. Il destino non si accanisce mai con chi ne sa accettare il suo disegno e non gli lotta contro. –
– E’ certo una sana filosofia – rispose Nicolò – ma non é facile praticarla, specie se ti senti sconfitto, disperato, anche solo affamato. Si deve in ogni caso credere in una via d’uscita. Ed io credo che il prossimo natale sarà per noi felice, molto felice. –
L’anno nuovo cominciò austero, freddo, silenzioso, a contare i giorni, ma lasciò intendere da subito che avrebbe regalato qualche momento di felicità alla coppia.
Una sera Nicolò tornò a casa ferito. Nell’armeggiare con una mola, mentre affilava gli attrezzi, uno di questi gli era sfuggito dalle mani e gli aveva tagliato di netto la protuberanza muscolare che nel palmo della mano sta alla base del pollice. Con una pezza di lino aveva coperto la ferita sanguinante e quando Alma, nel medicarlo, tolse quella fascia un dolore acuto e violento gli impedì di trattenere un grido di dolore. La carne viva era in sintonia con la smorfia che segnava il volto di Nicolò, il quale tratteneva a stento le lacrime. Questa immagine di debolezza e di profonda umanità in quell’uomo per altri versi forte, duro, sicuro, risvegliò improvvisa in Alma una tenerezza della quale aveva perso la memoria.
– Ti fa tanto male? – chiese a Nicolò. Lui tentò di sorridere
– Potresti approfittarne, é il momento di farmi pagare il conto degli sgarbi…-
Alma gli mise la mano sulla bocca per zittirlo
– Ssss, adesso che dovresti stare zitto parli, e quando dovresti invece parlare tieni la bocca chiusa. Ah, questi uomini! Lascia fare a me, affidati alle mie cure. Ti puoi fidare. Ti guarirò. –
Gli pulì la ferita, lo aiutò a lavarsi l’intero braccio ed il tronco, lo fasciò, gli infilò una maglia ed una camicia pulita. Questa vicinanza fisica, la sua condizione di debolezza, la istintiva propensione verso di lui, finirono per ammorbidirla e quando concluse queste operazioni lo baciò sulla guancia. Lui quasi arrossì tanto fu preso alla sprovvista
– Alma, cosa ti prende? – domandò in preda all’imbarazzo ed ad una contentezza  chiaramente visibile. Lei sorrise, finalmente luminosa, e non replicò. Andava via l’inverno e il disgelo coinvolgeva anche il loro rapporto. Il seme, che aveva messo radici, avrebbe dato frutti copiosi.
Alla fine del mese di marzo cadeva il compleanno di Alma e decisero di festeggiarlo.
Alma non era andata a lavorare quel giorno. Aveva dedicato molto del tempo a preparare ciò che piaceva a Nicolò : la pasta coi fagioli, il pollo ripieno. Aveva anche trovato delle arance. Nicolò quando ne aveva una per le mani, prima di mangiarla, la osservava a lungo, la odorava, come volesse ritrovarvi i colori ed i profumi della sua terra. Sulla tavola apparecchiata con gusto Alma aveva posto persino una ciotola colma d’acqua dove galleggiavano dei petali di rosa che spandevano il loro profumo. Era stato questo un vezzo al quale non aveva rinunciato.
Al suo rientro Nicolò le portò un piccolo mazzo di viole. Gliele consegnò baciandola con tenerezza sulla tempia.
Si accomodarono  e cominciarono a mangiare guardandosi e sorridendosi a vicenda. Una strana allegria li pervadeva.
– Hai un aspetto particolarmente attraente e quella camicia inamidata ti conferisce un’aria molto distinta. – disse Alma, mentre rosicchiava un’ala del pollo, a Nicolò
– E tu sei bellissima! – di rimando rispose lui con un tono di voce che non mascherava il moto profondo delle sue emozioni. Alma, che non si aspettava quella così palese dichiarazione, vinse l’imbarazzo che li stava per attanagliare e gli prese una mano tra le sue – Oh,Nicolò, sarà sempre così lunga la strada per noi? Perché siamo tanto complicati? Perché ci é così difficile? –
– Non é facile per nessuno, specie se si tenta di realizzare un rapporto molto profondo. Non ci si apre con leggerezza, non si permette ad uno qualsiasi di camminare nel nostro intimo. Il timore é che vengano calpestati i fiori più delicati, le nostre idee, le aspirazioni, i sogni. –
Mentre Alma rassettava, dopo la cena, Nicolò si era accomodato sulla panca vicino al camino ed aveva preso a fare su un quadernetto tutta una serie di conti complicati. Lei lo raggiunse, e, sedutasi dietro di lui, a cavalcioni della panca, poggiò il mento sulla sua spalla sinistra e da quella posizione osservava divertita.
Incominciò a carezzargli le tempie infilando le lunghe dita tra le ciocche nere. Gli modellò il collo con un tocco delicato delle mani che lasciò scivolare dentro la camicia a sfiorargli petto. Lui imperterrito seguitava a fare i conti. Alma si strinse a lui che avvertì sulla schiena la forma delle mammelle non più acerbe e i capezzoli induriti dall’eccitazione, e sui glutei il ventre e le coscie di lei ed il calore che tali parti così intime emanano.
Nicolò chiuse il quaderno poggiandolo sulla mensola del camino e nell’allungarsi si trascinò dietro, adeso, il corpo di Alma che si era abbandonata alla voluttà di quel contatto. Con un po’ di fatica gli riuscì di staccarsi. Si girò e si pose di fronte a lei che si offrì tenera ai baci e alle carezze.
Divampò come viva fiamma la passione limitata solo dal precario equilibrio che la panca permetteva.
– Ci ho pensato tutto il pomeriggio, ma credo di averlo desiderato da sempre – sussurrò Alma.
– Anche io l’ho molto desiderato, ma non credevo sarebbe stato possibile! Quante volte in tutti questi mesi ti ho guardata in silenzio! Facevo in modo che non te ne accorgessi. Ne approfittavo per farmi gli occhi. La tua immagine dava colore ai miei pensieri e mi sentivo felice. Mi bastava e mi sembrava moltissimo. I miei silenzi e la mia incomprensione erano lo specchio fedele della paura di rendermi conto che non avrei più potuto farlo. Temevo di sentirti dire che saresti andata via. E tanto più lo temevo, tanto meno mi prodigavo  per evitarlo – disse intenerito Nicolò.
– Anche io sono stata prigioniera di questo tipo di sortilegio, ma farò in modo, almeno con te, di eluderlo, di evitarlo – replicò Alma mentre Nicolò l’abbracciava dolcemente ed incominciava a raccontarle – Sin da quando ero ragazzo, nel mio paese, sognavo una ragazza come te. Ve n’era una che ti somigliava. Me ne ero innamorato. Avevo solo dieci anni mentre lei ne aveva venti. L’aveva capito ed era gentile con me. Talvolta scambiavamo qualche parola. A lei piaceva un uomo che aveva tante donne e questo mi disturbava. Poi un giorno é partita e non l’ho più vista. Ero malinconico sin da allora. Era intrisa di malinconia l’aria che respiravo. Vivevo a quella età in un paese poco distante dal mare, ma non ero nato lì. Ero nato in Sardegna, ai piedi delle montagne e lì vi avevo trascorso la mia fanciullezza. Poi fummo costretti ad un trasferimento in Sicilia. Avevo appena compiuto i nove anni. Porto il sangue delle due isole e le loro anime contraddittorie. La prima ha radicato in me un forte senso di libertà ed un individualismo esasperato, al limite della solitudine. I miei silenzi trovano in questo la loro ragione. La seconda ha seminato, cresciuto e mietuto il culto dell’unità familiare. Da un lato ci veniva insegnato come quella unità fosse il valore affettivo per eccellenza nella vita di un individuo, e dall’altro ci veniva inculcato il senso di una organizzazione rigida, verticistica, alla quale si deve cieca obbedienza, e nella quale viene privilegiata più la spavalderia che l’intelligenza. Immagina quale conflitto ho vissuto ed ancora combatto. Entrambe mi hanno reso schiavo di un amore viscerale nei loro confronti, amore che mai mi abbandona. Ho potuto, e mi sono allontanato da queste terre, ma nel  mio cuore é vivo, é sempre vivo il desiderio del ritorno. Vi ho lasciato i miei libri, i miei scritti, ma non so se desidero riaverli, tanto  traumatico é stato il distacco. –
Nicolò fece una breve pausa come a riordinare i suoi pensieri che parevano essere stati travolti da una marea emotiva inarrestabile.
– Con mio padre, lui siciliano tutto di un pezzo, sono andato d’accordo sino a quando non é emersa la mia natura nativa, quella sarda. Non gli riusciva di accettarla, lui che aveva i modi e la mentalità da padrino. Sono esplosi in questa prospettiva contrasti mai sanati. E non solo con lui! Mia madre, sarda, ha sopportato mio padre, tutto il suo maschilismo, senza batter ciglio, rifugiandosi in un sonno che serviva solo per far passare il tempo. Hanno vissuto assieme cinquanta anni, stanno ancora assieme, ma nessuno dei due sarebbe in grado di spiegarne il perché.
Tutti i miei fratelli hanno pagato più di me questa contraddizione genetica e culturale. Sono stati stritolati dalla irremovibilità paterna, dalla passività di mia madre. Una madre che avrebbe dovuto almeno tentare di proteggere i figli dalla invadente autorità paterna, piuttosto che preoccuparsi di mantenersi il marito. E quando mia madre ha capito, non aveva più le energie per ribellarsi, per liberarsi.
Non so perché ti racconto tutte queste cose – disse considerando il suo soliloquio Nicolò – Non ti starò annoiando per caso? –
Alma lo baciò teneramente sulla fronte e disse con dolcezza – Continua, chiaccherone. –
– Chiaccherone! A me che non parlo mai o quasi! Ah, vuoi dire che ho già parlato troppo? –
– In effetti gli uomini parlano sempre troppo e quando decidono di farlo non si accorgono che non é il momento più opportuno. Ma per te farò un’eccezione –
lo rincuorò lei e sgranò gli occhi per dimostrare un accresciuto interesse al suo racconto.
– Mi ricordo di aver capito tardi che la diversità della gente dei due paesi era solo apparente. Erano i modi esteriori a far sembrare diverse le mentalità, mentre al fondo esisteva una eguale paura a scegliere la vita, i suoi rischi, la piena responsabilità o quant’altro al vivere é connesso. E la gente preferisce percorrere la via di un sordido e comodo egoismo piuttosto che aprirsi a forme di pensiero originale, pensiero che  proprio nell’originalità trova la sua libertà e la sua autonomia, e che non é asservibile a fini diversi dal suo stesso contenuto. La gente ha inoltre il timore di una vera comunicazione con gli altri. Vorrebbe confrontarsi, cerca disperatamente una conferma alle proprie idee e qualcuno che le condivida, ma poi, stanca di una ricerca che sembra vana, va ad impantanarsi in tre soli pensieri, e decide che é meglio non perdere tempo  a sforzarsi le meningi. La gente desidera aprirsi a molteplici rapporti affettivi, ma é inchiodata da un’aridità che si nutre di invidia, di risentimento, di malevolenza. Non manca chi tenta di incamminarsi per strade diverse. Ma quanti ostacoli deve superare e non sempre gli riesce! Quando sono andato via dalla Sicilia, quando ho abbandonato quella terra, ho lasciato dietro di me un congiunto di risentimento e di rabbia che uno di questi giorni cercherà e troverà una rivincita. Senza esclusione di colpi. La mia terra, la terra dalla quale sono fuggito, si, fuggito, e forse non avrei  dovuto farlo! Non avrei dovuto! Mai abbandonare il campo di battaglia se non si é vinto od inequivocabilmente perduto! Mai lasciare conti aperti! Adesso basta. Non parlo più, non ti racconto più nulla. –
La strinse forte, ancora più forte, quasi nel tentativo di incorporarla, di fonderla a sé ed Alma per nulla si oppose.
Fuori il vento rinforzava e lontano si udiva il rombo del tuono che annunciava l’imminente temporale.
Quando Alma si trovò di fronte all’ennesimo fattore, al quale l’ aveva indirizzata la vecchia levatrice, capì subito che anche in quel caso il rapporto sarebbe stato sofferto.
– Sei la figliastra di Barnaba? Tu sai che potrei avere un sacco di seccature? Eppoi oggi trovare un lavoro non é facile ed anche questo lo capisci. Tutti i giorni qui c’é una processione. Giovani, vecchi, uomini, donne, non c’é che da scegliere. E tutti, dico tutti, sono disposti a vendersi l’anima per un tozzo di pane. –
Alma lo osservava. Era un uomo sulla cinquantina, pelato, corpulento, di media statura, con le mani grassoccie. Nonostante l’abbigliamento curato non dava una buona impressione. Non  guardava mai negli occhi, certo non ispirava fiducia. Si capiva che non aveva scrupoli e che il suo motto poteva essere che da ogni situazione doveva trarne il massimo vantaggio. – Facciamo così, verrai a lavorare per un mese, nelle stalle. Dovrai accudire le vacche. Non ti dico subito quanto ti darò, ma se avrai fatto più del tuo dovere, saprò essere generoso. Più di così non mi é possibile. E dillo alla signorina Celeste che ti ho trattata bene! Non dimenticarlo!-
Era l’unica via d’uscita e comprendendo come spesso non sia possibile piegare gli eventi al proprio volere, ma a questi occorre sapersi adattare, Alma accettò.
Non la preoccupava la fatica, ma non capiva bene il senso del discorso di quell’uomo:”..se avrai fatto più del tuo dovere…”. O lo aveva capito benissimo. Certamente sapeva che avrebbe dovuto lavorare per due e per quattro soldi, ma il resto!
Decise di giocare d’anticipo. – Bene, quando comincio? – disse Alma con un sorriso sornione e sicuro – Credo saprò accontentarla in tutto. Sarà soddisfatto di me. –
L’uomo rimase stupefatto. Non si aspettava una reazione del genere. Che avesse capito e si dichiarava immediatamente e spudoratamente disponibile? Che non avesse compreso e quella sua risposta fosse casuale? L’incertezza lo rese prudente
– Potrai iniziare domani, alle cinque ti presenterai a quel bel tomo – ed indicò il suo aiutante che sellava il cavallo
– Lui ti dirà. Con me.., con me.., ci rivedremo tra qualche settimana. E valuteremo. –
Alma capì che aveva vinto una piccola battaglia: non lo avrebbe più visto o perlomeno non avrebbe avuto da lui alcun problema.
Iniziò così per lei un periodo di fatiche, di sacrifici, di poche gioie.
Ogni giorno si alzava alle quattro, preparava per entrambi un boccone da portare al lavoro, usciva tanto in fretta che a dare solo un saluto a Nicolò, sarebbe arrivata in ritardo. E l’aiutante del fattore non ammetteva un minuto di ritardo: con una patacca che portava nel taschino del panciotto controllava l’arrivo delle lavoranti. Chi era fuori orario non tornava il giorno dopo.
Il lavoro nelle stalle era estenuante. Benché fosse adusa alla fatica il ritmo che le era stato imposto, senza soste, finiva per ridurla in pezzi. Quando rientrava la sera trovava già a casa Nicolò. Lui aveva provato a preparare più d’una volta la cena per evitarle anche questo peso, ma i risultati erano stati così deludenti che aveva deciso di preoccuparsi solamente di rassettare e di riordinare. Era Alma che preparava il desinare e lui la serviva. La cena si svolgeva in silenzio. Al massimo scambiavano qualche parola sulle necessità urgenti o per comunicazioni indispensabili. Ma questo mai avrebbe potuto essere scambiato per disinteresse reciproco o per disaffezione, poiché il loro sentimento, in quello stare in silenzio, affondava sempre più le sue radici e si fortificava.
– L’albero che cresce e s’invigorisce al freddo dell’inverno, quando fiorisce – soleva ripetere serio Nicolò – ha colori più intensi, profumi più inebrianti, ed i frutti sono copiosi. –
Con la dolcezza che solo le donne innamorate conoscono Alma rispondeva – V’é un albero che fiorisce d’inverno, ha un unico fiore che non teme il gelo, il frutto ha la scorza così dura che quasi non lo si riesce ad aprire. Ma al suo interno, la polpa dolce, ha fragranza e sapori inimmaginabili. Ed é così il mio amore per te, Nicolò. Un fiore ed un frutto dell’inverno. E tu hai la testa tanto dura per poter rompere il guscio ed assaporarne la polpa, mangiarlo per intero. –
Poi ridevano e questo serviva a cancellare per un momento la tremenda stanchezza. Quando poi andavano a letto vi era solo il tempo ed il desiderio di stringersi un poco prima di abbandonarsi ad un sonno che si sarebbe interrotto poche ore dopo, nel più bello e con violenza, tanto era innaturale l’ora del risveglio.
Venne l’estate ed il tempo della monda del riso.
Alma fu chiamata dal fattore – Il tuo lavoro nelle stalle l’ho dato ad una nuova. Avevo preso un impegno di un mese con te. Ne sono già passati più di tre. Ma per non dover sentire la signorina Celeste, per non lasciarti senza lavoro ti faccio una proposta. Sto organizzando un gruppo di mondine da mandare in Piemonte, vicino a Vercelli. Staranno lì per due mesi. Pensaci sù. La paga é tre volte quella che io ti do oggi. Sei forte, sei sana! Domani potrai dirmi se accetti. Si parte domenica all’alba. –
Per la giovane donna fu come una fucilata a bruciapelo. Fece un cenno d’intesa al fattore e tornò alle fatiche. Mille pensieri si agitavano vorticosamente nella mente. Aveva scoperto qualche giorno prima di essere incinta ed ancora non lo aveva detto a Nicolò. A parlargliene ora, mai e poi mai l’avrebbe lasciata partire. E lei non voleva partire! Seppur grama la vita era piena di quella presenza maschile, bastava uno sguardo, una frase, un contatto, per ritrovare il sorriso. Due mesi lontana! Alma capì, e questo lo impara ogni donna, che certi problemi non si pongono agli uomini. Doveva decidere in sé, senza un possibile aiuto, contro il suo stesso volere, accantonando del tutto dubbi e timori, e non considerando per nulla i suoi stessi desideri.
Tornando a casa la sera forzava un sorriso per prova. E quando fu giunta al cospetto dell’uomo, sorrise raggiante, e gli disse – Ho deciso di prendermi una vacanza. Domenica prossima vado per la monda in Piemonte col fattore. Mancherò due mesi. Pensi di cavartela senza di me? –
Nicolò restò perplesso e sorpreso. Aveva intuito il travaglio che lei nutriva nell’animo, e seppur contrario a quella decisione che non poteva condividere, rispose – Ho vissuto tanto tempo da solo e me la cavavo benino. E’ vero, la casa non era stata mai così pulita ed in ordine, ma tanto… Eppoi sei veramente convinta di questa scelta? Ne possiamo discutere? – disse Nicolò e divenne serio.
– Non intendo cambiare idea, vorrei che tu non mi tentassi diversamente. Capisci che non é facile. Anzi… Sappiamo che deve essere fatto. Ora non sprechiamo il poco tempo che ci rimane. Sabato non andrò a lavorare e se anche tu potessi renderti libero potremmo avere una giornata tutta per noi. Nicolò non voler pensare! Stringimi forte, ci sarà un tempo migliore anche per noi! –
Alma non aveva mai lasciato la sua zona e quel viaggio, sul vecchio camion militare sconquassato, le parve un trasferimento ai confini del mondo. Con lei altre donne raccolte un po’ dapertutto, ciascuna col proprio fardello. Nelle settimane successive le avrebbe conosciute un ad una.
Erano tutte più grandi di lei, che in fondo era ancora una ragazzina. Alcune sembravano avanti negli anni per i segni che un destino avverso aveva lasciato sui loro corpi. Nei volti e negli sguardi di ciascuna si intrecciavano e variamente emergevano i connotati delle loro storie ed i sentimenti che le avevano accompagnate. Nei loro comportamenti era prevalente una nota amara e malinconica, quasi che albergasse nell’animo quello stesso sentimento di estraneità allo scorrere degli accadimenti che i malati provano osservando le vicende dei sani. Si vive ai margini e si ha il dubbio di non poter più rientrare a far parte del mondo che vive felice o almeno sereno.
Alla fine della giornata di lavoro si ritrovavano insieme nel grande dormitorio ed in quel momento ogni donna rivestiva i panni della propria storia e ritrovava un poco di quella femminilità che la fatica cancellava durante il giorno.
Era l’ora dei discorsi, della tristezza, ma anche di un poco di allegria, di qualche scherzo che serviva ad allentare le tante tensioni.
Alma aveva fatto amicizia con quattro delle sue compagne, ma la sua disponibilità le aveva permesso di conoscerne altre che sapeva non avrebbe mai riviste né ricordate e che riepilogavano, nei modi e nelle espressioni, come pure nei contenuti dei pensieri, quanto di più diverso la vita offre a chi la osserva.
Bruna era un tipo esile, longilineo, il volto scavato. Doveva aver superato la trentina. L’aspetto sofferto non mascherava una grande umanità che sgorgava dai suoi occhi e si leggeva nei suoi gesti. Pareva possedere una connaturata nobiltà ed il fatto che fosse stata abbandonata in un crocevia sotto il simulacro della Vergine lasciava a chiunque la libertà di fantasticare. Era riuscita a conquistare la stima delle compagne ed anche Alma nutriva per lei una sincera ammirazione.
Teresa era la più allegra dell’intera camerata. In ogni sua manifestazione era rumorosa, nelle strilla, nelle risate, nel parlare non aveva la misura della sua chiassosità e dell’invadenza. Ma era sempre la prima ad intervenire e schierarsi in aiuto di chi era in difficoltà. Come una leonessa che difende i propri cuccioli così lei sembrava volesse sbranare gli avversari che osavano contrapporsi.
Agata era una napoletana emigrata al nord qualche anno prima. Viveva vagando nell’inseguimento di un qualsiasi lavoro. Era di media statura, un poco robusta, con una pelle scura ed i capelli castani. Molto armoniosa nelle sue forme si distingueva per la verve che non l’abbandonava mai neanche nei momenti di maggior stanca. Aveva la battuta facile e quando voleva far sorridere il gruppo improvvisava frammenti di sceneggiata napoletana.
Michela era piccola, dolce, silenziosa, graziosa. Sembrava proprio fuori posto in quel gruppo di donne che per sopravvivere dovevano mostrare ed usare denti ed unghie. Nessuno sapeva di lei, nessuno capiva come mai fosse lì, e lei non manifestava nessuna intenzione di raccontare. Quando si svestiva per lavare i suoi umili indumenti era un piacere osservare quel congiunto di grazie minime, ciascuna perfetta, e nel complesso di evidente armonia.
Alma era divenuta la mascotte del gruppo, era per tutte, o quasi, “la signorina”. E la signorina aveva saputo farsi valere sia nel lavoro, per il quale aveva proposto una turnazione, cioé un alternarsi dei gruppi di lavoro nei vari compiti, che si era rivelata efficace e produttiva, sia nei rapporti interpersonali, pur in presenza di momenti di conflittualità aperta con alcune compagne che non dimostravano molta simpatia per lei.
Alma non si lamentava mai, era sempre pronta ad aiutare le compagne, a dispensare una buona parola ed un sorriso. Le dava forza la coscienza che ciò che faceva era stata una sua libera scelta, mentre per tutte le altre forse era una costrizione. E questo privilegio la spingeva ad essere più disponibile con chi forse non conosceva, né immaginava l’esistenza della libertà.
– Stasera abbiamo intenzione – disse Teresa, alla fine della giornata di lavoro che aveva visto introdurre tanti cambiamenti, simulando un vocione maschile – Abbiamo deciso di festeggiare la nostra signorina cervellona. Avrete voi notato con quale garbo ha proposto a quel burbero del caposquadra la sua idea del cambio dei gruppi nei vari lavori? –
– E quello là, che non ha ascoltato mai nessuno, che sembrava avere le orecchie tappate con la cera – aggiunse Agata – quello é stato attento come se stesse parlando il padrone. –
Bruna intervenne – Aveva intuito subito, lo scemo, che avremmo reso di più cambiando spesso lavoro. Alma aveva ragione quando affermava che se si evita di stare sempre chine ci si stanca di meno. Ora se lavori una volta dritta, poi un poco china, se hai qualche momento di pausa, finisce che rendi di più. Ed é questo che quel maiale vuole! –
Michela, con voce sconsolata, disse – Il caposquadra avrà presentato al padrone l’idea di Alma come sua e ad Alma non verrà nessun beneficio! –
Si udì dal fondo del camerone una voce che diceva – E’ certo che se la signorina Alma voleva farsi notare, c’é riuscita. Con la scusa di dare suggerimenti! –
Le fece eco un’altra voce vicina – Ci sono tanti modi di fare strada, ne abbiamo imparato un altro, forse dobbiamo ringraziare, non ti pare? –
Teresa a voce alta perché tutte sentissero disse – Glielo facciamo sapere noi al padrone di chi é stata l’idea. E se c’é qualcuno invidioso, e a questo qualcuno non scende che Alma sia migliore di tante,  noi, gli consigliamo di impiccarsi, per il bene di tutte. Vero Alma? Dì qualcosa. –
Alma non voleva parlare, intimidita dai discorsi che ruotavano intorno a lei, ma forzata dallo sguardo delle compagne che aspettavano di conoscere il suo pensiero, disse – La mia proposta voleva migliorare la nostra condizione di lavoro, quella di tutte noi e  ci siamo riuscite. Non mi interessavano, né ho pensato a riconoscimenti di sorta. Sono soddisfatta per le parole di chi  ha apprezzato,  per la considerazione che alcune di voi hanno per me. Sono dispiaciuta del fatto  che qualcuno continui a trovare nei miei comportamenti un secondo fine che non esiste. –
Mise fine a quel discorso che tanto imbarazzava Alma, Bruna – Quando pensi di aver fatto bene, di aver aiutato qualcuno, proprio allora devi temere l’invidia, la cattiveria. A molta gente di solito non piace chi dà buoni consigli, chi offre il proprio aiuto senza chiedere nulla in cambio. Questi individui vivono i gesti di bontà come sonori ceffoni. Più gradita per loro sarebbe una aggressione fisica. Ad Alma dico che di costoro non deve curarsi. Pensi invece che molti altri, molte di  noi l’ammirano, la stimano, le vogliono bene. –
La strinse tra le braccia ed Alma percepì il calore di un affetto femmineo, materno, che non aveva mai provato e che le riscaldò il cuore.
I due mesi passarono rapidi ed alla fine di luglio Alma e le compagne ripresero la via del ritorno. All’aria triste e malinconica del viaggio dell’andata si era sostituita in tutte le donne la gioia del ritrovare e del ricongiungere il filo interrotto della precedente esistenza, che, anche se grama, in quel momento appariva più desiderabile. Sulla strada che riporta a casa solo i pensieri felici hanno posto nella mente.
– Mi auguro di non rivederti, e se dico questo é perché ti sono affezionata. – disse Bruna ad Alma, mentre entravano in paese, ed il camion si dirigeva nella piazza centrale dove Alma sarebbe scesa – Non vorrei risentirti soffrire in silenzio, la notte, come mi é capitato in queste ultime settimane. –
Alma le sorrise complice e sottovoce disse – Sei stata per me un sostegno molto importante, in un certo senso sei stata la madre che non ho avuto. Grazie ancora! –
– Ed auguri per il bambino! – le gridò Bruna mentre Alma scendeva dal camion.
– Come! Lo sapevi? – si meravigliò Alma cercando gli occhi di Bruna per capire. Ma il mezzo di trasporto si era già allontanato e non trovò risposta.
Nicolò l’aspettava dall’altra parte della piazza.
A dispetto dei paesani che dimostravano di non gradirne la presenza si era piazzato lì incurante di tutto e tutti.
Lei avrebbe voluto corrergli incontro per abbracciarlo, ma una fitta al ventre la trattenne. Con passi lenti attraversò la piazza e lo raggiunse. Avvertiva l’emozione come una sensazione d’ebbrezza. Sorrise con la dolcezza che aveva trattenuta a lungo.
– Come stai? Non era il caso che venissi a prendermi in piazza – disse, pensando l’esatto contrario. Il vederlo lì l’aveva fatta immensamente felice.
– Sono qui solo da due ore. Ed é perché ho saputo l’ora di arrivo, altrimenti  sarei stato qui dall’alba – replicò lui, con la voce rotta dall’emozione. La prese per le braccia, l’avvicinò a sé, e la baciò sulla bocca, a lungo, suscitando lo scalpore dei presenti.
Il mondo era scomparso attorno – Oh, Nicolò, la gioia che mi pervade quasi mi fa star male! Mi accorgo solo adesso quanto mi mancassi. Avevo il vuoto nel cuore! – sussurrò Alma abbandonata tra le braccia dell’uomo.
– Quando sei andata via hai spento il mondo ed ora lo riaccendi. Avevo un assoluto bisogno di questa luce. – replicò Nicolò
– Ho preparato un po’ da mangiare, é da stamattina che sono all’opera. Spero ti piacerà. Ma hai fame? –
Si avviarono e quando Alma vide quella minuscola dimora col cespuglio di rose in fiore capì il senso di ciò che le aveva detto Bruna, che la vita si apprezza veramente se puoi disporre di un grande sentimento, di una gioiosa emozione e di un fiore. Ogni altro possesso non é capace di offrire un’eguale felicità.
Tutto era in ordine. Alla tavola imbandita era seduta la signorina Celeste, che nel vederla si lasciò prendere da una commozione che non sapeva trattenere. E non la trattenne.
– Figlia mia, vieni ad abbracciarmi. E la prossima volta che parti senza dirmi nulla, ti vengo a prendere e ti riporto a casa. Fatti vedere bene. Come sei bella! Ma tu sei incinta! E di quattro mesi!- le scappò non appena l’ebbe guardata senza lacrime.
– Incinta? – disse esterrefatto Nicolò.
– Pazza!  Incosciente! – abbozzò un rimprovero, con un tono poco convincente, la vecchia ostetrica – Sei andata alla monda in queste condizioni! E tu lo sapevi già quando sei partita, dì la verità? –
Alma cinse Nicolò alla vita, pose sulle spalle dell’ostetrica l’altro braccio, e così, tutti vicini, chiese divertita – Possiamo ora mangiare? Ho fame, per due. Sto bene. Sono insieme alle persone che amo di più. Sono felice come non lo sono mai stata e non ho nessuna intenzione di cambiare umore. Eppoi, signorina Celeste, mi vuol dire che impedimento c’era e c’é al lavoro? Stavo bene, non ho avuto problemi, se avessi avvertito qualche fastidio… O pensate che a questo figlio io non ci tenga? – disse Alma mentre assumeva un’aria estranea come se col pensiero cercasse una comunicazione con il bimbo che portava in grembo – Come potrei rinunciare, come potrei fare del male ad una parte di me, la più significativa, il segno tangibile dei miei sentimenti e della mia maturazione, di donna e d’individuo? Ma ora pensiamo a mangiare, e non state lì come mammalucchi, non é il caso di fare aspettare il bambino che già protesta. Ho piacere d’averla trovata qui signorina Celeste, anche se non si é lasciata sfuggire l’occasione di un rimprovero, ma non si offenda, non vorrà mica trattenersi dopocena? –
Risero tutti e tre. Si sedettero ed iniziarono a desinare e, mentre Alma mangiava con appetito e la signorina Celeste faceva onore alla tavola, a Nicolò non scendeva neanche un bicchiere d’acqua. E le due donne, che parlavano della gravidanza, non si preoccupavano minimamente di lui.
Solo dopo che la vecchia fu andata via Alma, sedendosi sulle ginocchia di Nicolò, gli diede attenzione – Non essere in pensiero – gli disse, stringendogli il capo al petto – Questo é un momento di gioia. Anche tu lo devi vivere con felicità. E non ti deve preoccupare ora quello che potrà accadere domani, al di fuori da queste quattro mura, poiché tutto ciò che conta, per noi, é già qui dentro. Ho imparato tante cose in questo periodo di distacco, fra tante gente sconosciuta, ma una la considero la più importante. Ho capito che ciò che più conta é la profondità che puoi dare ai tuoi pensieri, ai tuoi gesti, ai tuoi rapporti. E profondità significa sentimento, emozione, bontà, solidarietà, tutto tranne che egoismo. Ed il figlio che oggi ti spaventa é una parte importante della mia, della tua vita. Il segno tangibile dell’emozione che ti sommerge, che ti svuota, che ti fa sentire vivo, anche solo quando mi pensi od io penso a te. Non averne paura, lui di certo con sé porterà, in regalo, per noi, qualcosa che non hai, che non abbiamo, e che ci farà più ricchi. –
Nicolò, che si sentiva come un legno naufrago sbattuto dalla tempesta sulla scogliera, a quelle parole, avvertì il mare e le onde placare la loro furia. Stremato, si abbandonò tra le braccia di Alma – Hai ragione, ho paura, temo per lui, per noi. Penso che avere la fiducia, il credere in un destino meno avverso debba essere connaturato con questo ruolo. Mi sento impreparato, ma farò in modo da superare tutte queste mie manchevolezze. Vorrò diventare per nostro figlio un buon padre. –
In quella sera non v’era più posto per altre emozioni ed un sonno pacificatore li prese entrambi, uniti.
Il giorno seguente Alma stette a casa a riposare e Nicolò decise di farle compagnia. – Mi devi spiegare – le domandò curioso ed inorgoglito, mentre consumavano la colazione – cosa é questa storia dei cambi nei lavori in risaia. Le voci sono giunte sin qui. Tutti parlano d’una ragazzina… –
– Non é una grande idea, solo ho suggerito che cambiare spesso attività nell’arco della giornata, é utile per alleggerire la fatica. Mi é sembrata una cosa ovvia, a te non pare? –
Il ragionamento di Alma, esposto in modo così lineare, appariva quasi banale.
– Considera che ciò che é semplice per chi é intelligente, può essere molto difficile per chi ha pochi numeri – disse Nicolò – ed é intelligente chi ha capito che é necessario oltrepassare la superficie delle cose, chi sa evitare i condizionamenti della concretezza e delle immagini, chi va dritto a quel mondo di concetti e di regole astratte che guidano la vita dell’universo e che sono capaci di allargare l’orizzonte dal quale si osserva la realtà. –
Alma lo soppesò con serietà e gli disse – Nicolò, mi stupiscono un poco le tue riflessioni. E non perché penso che non ti appartengano! Ciò che mi meraviglia é in realtà una incongruenza che in te é evidente. Tu sei un uomo estremamente colto ed intelligente, ed é per questo che ho sempre percepito di essere capita anche solo nel formulare i miei pensieri, ma non trovo una corrispondenza univoca tra il tuo mondo di pensiero e le tue azioni, i tuoi comportamenti. –
Nicolò quasi arrossì per il complimento, ma mostrò un notevole imbarazzo per l’osservazione di Alma – Tu sei intelligente perlomeno quanto me e già te lo riconoscono in molti. Hai ragione quando sottolinei questa mia incongruenza, che é il frutto delle mie due anime, della mia cultura bizantina che antepone il sofisma ai fatti, alle cose concrete. E’ un dualismo che tanto ha intriso la mia vita da costringermi ad un immobilismo dal quale io per primo tento disperatamente d’uscire, con scarsi risultati. –
Il tono di Nicolò si era fatto amaro ed Alma, che non voleva che quei momenti di serenità fossero disturbati da meditazioni metafisiche, troncò il discorso di netto. – Dopo tanto tempo ci troviamo ancor più uniti, vicini! Ne sei felice Nicolò? – gli domandò. Lui le sorrise grato – Se ne sono felice? E me lo chiedi? Mi sembra di poter respirare solo adesso dopo aver trattenuto per tanto tempo il fiato! Però sono un poco preoccupato. Le voci sulle tue prodezze qui in paese hanno riacceso l’astio del tuo patrigno e di tanta altra gente nei tuoi ed anche nei miei confronti. E ogni giorno sembra crescere di più. Sguardi, gesti, mezze frasi, non tralasciano nulla per metterti a disagio. A me non importa, ci sono oramai abituato. Ma tu! Hai vissuto qui, con loro, dovreste potervi capire! Adesso sapranno della gravidanza ed allora sarà ancora più difficile. –
Alma lo rincuorò, anche se considerava reale il timore di Nicolò – Abbiamo superato momenti difficili, perché spaventarci di un qualcosa che deve ancora venire? Perché non ti preoccupi adesso di una signorina che ha tanto bisogno di essere tenuta stretta e vicina, di essere coccolata, che desidera riassaporare le tue carezze, i tuoi baci? –
Nicolò, partecipe dello stesso desiderio, non volle disattendere un invito così esplicito. E le parole lasciarono il posto ad una dolce passione. Ciò che sarebbe accaduto era ben oltre i loro pensieri: il destino, senza fretta, preparava per loro un calice amaro.
Il rapporto di Alma con Nicolò, la sua evidente gravidanza portata con naturale orgoglio di madre scambiato per ostentazione e sfida, la sua tenacia nell’affrontare le difficoltà, era fonte nei paesani di un’antipatia, di un astio e di un’invidia, che il patrigno fomentava con continue calunnie.
– Quante cose mi ha rubato la ladra! – raccontava al bar stimolando la curiosità e l’ilarità degli avventori, poiché era spesso ubriaco sino alle ossa – Era una fannullona, a casa mia non ha mai lavorato! Ha sempre sbafato a tradimento! Ina civetta. Bastava che venisse un uomo in casa, vecchio o giovane, brutto o bello non faceva differenza, che lei subito si metteva in mostra! Ed io che mi sono dissanguato per allevarla! La vipera!-
E come sempre accade, quando piove sul bagnato, a qualcuno venne in mente di alimentare l’acrimonia del patrigno e le sue insulsaggini, con calunnie infìde ed infamanti.
– Mi hanno detto che durante la monda in Piemonte, abbia fatto baldoria, non so se mi spiego! – ed il gesto che accompagnava la calunnia era esplicito, ebbe a raccontare un mezzadro a Guido, che nei confronti di Alma viveva contrastanti sentimenti – Lo so di certo, perché me lo ha detto uno che é stato in quei posti in quel periodo. Uno affidabile. –
Anche al mercato non v’era risparmio di chiacchiere e pettegolezzi – Questa gravidanza é vergognosa! Ostentata a quel modo. Come se non fosse comunque un bastardo! – sibilava acida una massaia corpulenta ed ansimante – La poverina non se ne rende conto! – s’intristiva falsamente un’amica che concludeva con un lapidario – Ma sì, lo sanno! Fanno solo finta di nulla. Anzi! Sono proprio dei miscredenti, dei senzadio. Sono provocatori, così ha detto mio marito. Che ha aggiunto anche che tra qualche tempo avranno ciò che si meritano. Vedrai! –
L’aria che la coppia respirava nel paese diveniva sempre più avvelenata, ma all’interno della loro umile dimora non riusciva ad entrare.
L’attenzione concentrata sulla imminente nascita e l’approssimarsi dell’evento rendeva più sicuro lo scudo difensivo contro le maldicenza e la malevolenza della gente.
– Vorrei che ti somigliasse, che avesse questa tua forza – diceva Nicolò ad Alma – Ed io vorrei che fosse capace di quei tuoi silenzi che parlano, vorrei che possedesse il tuo pudore e la tua timidezza – gli rispondeva di rimando lei.
– Questo nostro figlio, che sono certa sarà maschio, avrà certo di me e di te, ma vorrei che in più avesse quel sentimento di altruismo che la nostra spiccata individualità ci ha negato. Vorrò questo figlio al servizio di chi non ha, di chi é debole, di chi non sa. Sei d’accordo, Nicolò? – chiedeva col tono di chi vuole essere rassicurato Alma.
– Come potrei non essere d’accordo gentile signorina Alma! Eh, sì, sei ancora signorina. Ed ecco il perché di tanto scandalo. Ho incontrato ieri il prete, e non mi ha salutato, non mi ha degnato di uno sguardo! Debbo essere preoccupato? – ironizzò Nicolò, che, serio, proseguì a dire – Biasimo questa mia difficoltà al rapporto con gli altri e talvolta mi detesto per quella altezzosità che mi rende spesso estraneo. L’intelligenza che mi sono attribuito invece di avvicinarmi mi allontana dalla gente. Ed io non mi oppongo a che questa distanza si dilati, aumenti.  Mi scuso con me  stesso col pretesto che anche intavolare un discorso semiserio con altri é inutile, per una loro presupposta incompetenza, ed é pertanto preferibile evitare la perdita di tempo ed una contaminazione delle mie idee. E’ un atteggiamento folle, me ne rendo pienamente conto, di certo non é usuale, ma la razza, la cultura della quale mi sono nutrito, così mi hanno forgiato. Quante diatribe, quanti scontri, quante incomprensioni, quante le occasioni mancate! Quale enorme perdita! Poiché se é vero che possiamo fare a meno degli altri, é ancor più vero che siamo fatti per vivere con i nostri simili e per confrontarci con loro. Per offrirci reciprocamente una possibilità di crescere, di trovare risposte, di imparare a vivere, ad essere felici. Perché solo questa é la vera ragione della nostra vita!-
  Vito venne alla luce in una fredda, ma luminosa giornata di gennaio. Il nome era stato del nonno di Nicolò. La signorina Celeste, la vecchia levatrice, non volle sentire ragioni. Nonostante l’età volle presenziare e, come era ovvio, non si limitò a guardare. Il parto non fu facile, ma alla fine poté presentare con soddisfazione il neonato, lavato di fresco, alla madre.
– E’ sano, é forte, un vero maschio! Non é come quei rammolliti che ho visto nascere ultimamente – disse con eccessiva partigianeria – tutti i bambini sono belli – replicò Alma con tenerezza – lui lo é per me, per noi, e questo già basta. Ha i tuoi occhi Nicolò, guarda. Scuri e profondi. E con le ciglia lunghe! –
Nicolò, che aveva atteso, impaziente la nascita, pareva inebetito nella contemplazione di quel piccolo essere. E non spiccicava una parola. Si capiva che era alla ricerca delle giuste distanze, tra lui e quel figlio. Voleva vivere razionalmente la nuova situazione, ma un’emotività profonda gli impediva di ragionare, di pensare.
Lo battezzarono qualche settimana dopo nella chiesa di un paese vicino. Fu festeggiato in modo molto intimo: Alma e Nicolò brindarono soli, con un bicchiere di vino bianco tenuto in serbo per l’occasione, poiché nessuno andò a trovarli. Anche la signorina Celeste, impedita da una brutta tosse rimediata il giorno del parto, non era potuta andare a trovarli.
Non che si aspettassero visite, ma qualcuno poteva anche passare per un saluto, un augurio.
Se chi li osteggiava non si sarebbe mai presentato, quei pochi che li stimavano avevano il timore di veder associati i nom. E quindi per non venirsi a trovare in situazioni imbarazzanti avevano evitato.
– Pensi che nevicherà domani? – domandò Alma a Nicolò che guardava la strada dalla finestra con la speranza di veder arrivare qualcuno. Non che a lui importasse, ma temeva che Alma ci sarebbe rimasta male.
– Non sono meravigliata per il fatto che nessuno sia venuto – disse Alma mentre riponeva le tazzine da caffé che si era fatta prestare dalla signorina Celeste – penso solo a questo nostro figlio al quale, mi pare, il destino voglia da subito far capire cosa sia la solitudine. Per me basti tu. E questa tua trepida preoccupazione mi intenerisce e mi fa sorridere. Saresti capace di pagare qualcuno per venire a farci visita! –
Nicolò si sentì sollevato e, scemata la tensione, si lasciò scappare qualcosa che non avrebbe voluto dire – Di fronte ad un bambino, da noi, il tuo peggior nemico mette da parte le beghe e ti festeggia. Sarà un modo per compensare la crudeltà con la quale si dispensa la morte. Ma una nuova vita é l’unico modo di rinnovare la speranza.
Qui é diverso. Saremo sempre diversi! –
Fu un inverno duro. Nevicò per tutto il mese di febbraio.
Nicolò aveva cambiato lavoro, aveva trovato occupazione presso un restauratore in un paese vicino, e il compenso nel primo periodo, di apprendistato, considerata l’inesperienza, era proprio minimo. Alma stava a casa per seguire Vito e quindi non guadagnava. Avevano consumato tutti i pochi risparmi e mettere in tavola qualcosa diventava ogni giorno più difficile.
Alma cercava di sdrammatizzare affermando che così avrebbe recuperato la linea che la gravidanza aveva appena appesantito.
Il bambino allattato al seno non ne risentiva, ma Alma deperiva a vista d’occhio.
– Così pallida eppure hai i rossetti sulle guance! Non é che ti senti male, che stai per ammalarti? – la interrogò Nicolò – E questa tosse così insistente che da qualche giorno ti perseguita non mi piace per nulla. –
– Sei il solito allarmista, ho solo un po’ di mal di gola e mi sento debole. Niente di più. – rispose Alma – E non andare a chiamare il dottore perché quei pochi spiccioli che abbiamo ci servono per la legna. O vuoi farci vivere nel gelo? –
Nicolò era preoccupato, ma l’apparente buonumore di Alma riuscì ad allontanare il sospetto di una malattia.
In quella stessa notte invece ad Alma salì la febbre sino a farla delirare ed il respiro divenne affannoso.
Nicolò dovette girare a lungo per imbattersi nel dottore e condurlo al capezzale della donna.
– Sei stato fortunato a trovarmi – disse il medico a Nicolò – perché avevo deciso di andare fuori domani, per prendermi un momento di riposo. Non sai quanti si sono ammalati in questi giorni! –
Il dottore visitò con cura Alma. Pur visibilmente deperita i lineamenti mostravano l’eleganza del taglio e l’armonia delle forme, ma il pallore, l’affanno, l’abbandono erano i segni evidenti dell’invasione che il suo organismo non riusciva a contrastare.
Mentre rimboccava la coperta ad Alma, dopo la visita, il dottore notò in un angolo del letto Vito, il bimbo appena nato – Lui sta bene, per fortuna, credo – disse Nicolò.
– Gli darò un’occhiata. E’ meglio. Dovrà rinunciare al seno materno. Alma non lo può più allattare – sottovoce sentenziò il medico – Bisognerà dargli del latte vaccino. Tanti pasti quanti ne faceva al seno. E da subito. Alma ha una seria broncopolmonite. Ho paura che possa non farcela. Lo devi mettere in conto Nicolò. Trova qualche sanguisuga, se ti é possibile, ed attaccale alle basi del torace di Alma e tienicele sino a che non si staccano da sole. Poi devi aiutarla con una alimentazione leggera e nutriente. –
Il dottore, che aveva capito, mise sul tavolo un paio di lire – Me le restituirai quando Alma sarà guarita. Buona fortuna a tutti e tre. –
A Nicolò sembrò che il mondo gli franasse sotto i piedi. Andato via il dottore, fu assalito da mille angosce e tutte le paure che aveva per tanto tempo mascherate affiorarono contemporaneamente. Solo l’idea che Alma sarebbe potuta uscire dalla sua vita gli dava la sensazione di perdere fisicamente l’equilibrio. Tanto forte era diventato per lui quel legame, si domandò incredulo! Guardava la donna che respirava rapida ed incosciente e non gli riusciva di immaginare una qualche sorta di separazione. Sentiva di desiderare, ai limiti della ragione, il suo stesso percorso di deliquio e di trapasso. Poi vide il bimbo e capì che non doveva lascirsi abbattere. Doveva reagire, affrontare quell’aspra battaglia e vincere.
Cercò di dare ordine a tutti quei pensieri che finivano per accavallarsi l’un l’altro. Decise che la principale preoccupazione era quella di curare Alma ed accudire Vito. Non sarebbe pertanto andato a lavorare sino quando Alma non si fosse ripresa. In questa condizione il reperimento del cibo per quei due indifesi diventava un problema insormontabile, ma una fredda determinazione lo pervase: nessuna remora, nessun ostacolo lo avrebbe fermato.
Uscì di casa per cercare le sanguisughe, aveva un’idea precisa di dove avrebbe potuto trovarle. Si recò da un vecchio contadino di nome Simeone. Costui aveva una mucca malata di tubercolosi, alla quale era affezionato e che non aveva avuto il coraggio di sopprimere. Aggredita dalla malattia la mucca era diventata la preda ideale per le sanguisughe.
Il vecchio era sveglio nonostante l’ora,
– Sono Nicolò, posso entrare? – domandò facendosi riconoscere.
– Vieni, vieni pure avanti. Vieni a riscaldarti qui al camino – rispose Simeone, seduto davanti al fuoco con una coperta che gli avvolgeva le gambe – Una visita a quest’ora, per uno che soffre d’insonnia, é un piacere. Cosa sei venuto a cercare? –
– Ho Alma ammalata ed avrei bisogno di qualche sanguisuga. So che la vostra vacca … Se gliene togliessi qualcuna credo mi ringrazierebbe! – Nicolò si scaldava le mani alla fiamma crepitante.
– Prendi quel barattolo di vetro, quello lì su, con il tappo di sughero ed approfittane. Più sanguisughe le togli meglio é, anche per me. –
lo autorizzò il vecchio. – E non tornare qui da me, vai subito da Alma. Portale i miei saluti. La ricordo ragazzina. Era veramente un tipo speciale, ma pochi hanno capito quanto valeva e quanto vale. Tu lo sai, vero? –
Nicolò annui, ed uscì dalla casa dirigendosi verso la stalla.
Tornato a casa trovò Alma che delirava agitandosi nel letto – No, no, basta, basta! Io non volevo, non l’ho fatto apposta! No, no! Non mi picchiare! –
Bruciava. Nicolò le fece riprendere coscienza dandole dell’acqua fresca e bagnadole la fronte con una pezzuola ghiacciata che aveva tenuto fuori sul davanzale della finestra.
– Oh, Nicolò mi sento mancare – disse con voce flebile Alma – Che stupida sono stata! Credevo di essere forte ed invece! Dimmi come sta Vito? Preoccupati di lui. –
– Lui sta bene, riposa. Ora dobbiamo pensare a te e tu mi devi aiutare, mi devi dare una mano. Vedi se ti riesce di stare seduta da sola nel letto. Debbo metterti qualche sanguisuga, come ha consigliato il dottore. –
Nicolò la tirò su e la mise seduta, le sollevò la camicia e le attaccò alle basi polmonari tutte le sanguisughe che aveva tolto alla mucca. Poi la ridistese nel letto e sedutole affianco si predispose per passare la notte a vegliarla. – Parlami Nicolò, raccontami qualche cosa. Accarezzami un poco – gli chiese Alma, che pativa l’aggressione dei parassiti e la manifestava con smorfie di dolore che si disegnavano via via  sul volto.
Nicolò le prese una mano e le accarezzò i capelli. Alma cominciò a sudare – Ti porto i saluti dei Simeone, mi ha detto che sei speciale. Penso che siano in molti a considerarti speciale! Io per primo. –
Alma si era assopita in un bagno di sudore e questa reazione rincuorò non poco Nicolò, poiché poteva significare una forma di reazione positiva nei confronti della malattia – Appena starai meglio, ho deciso di cambiare tutto nella nostra vita. Vedrai, oh, sì vedrai, ne saremo capaci! Se é vero che il destino non ama essere forzato, é pur vero che si lascia condurre da chi, con tenacia, senza fretta, sa attendere. Sapremo fare in modo da renderlo benevolo! –
Nicolò fu vinto da una grande commozione. Il timore, la tensione, i dubbi, trovarono la loro dissoluzione in poche lacrime calde che rigarono quel suo volto composto.
L’alba lo colse assopito accanto al capo di Alma.
Nei giorni seguenti, ma soprattutto nelle settimane successive, la preoccupazione di Nicolò fu quella di trovare del cibo per Alma ed il latte per il bambino. Aveva deciso che con i pochi soldi offerti dal dottore avrebbe acquistato il latte, mentre per il cibo si sarebbe arrangiato. Mai aveva violato le leggi, e pur contro la sua volontà, si improvvisò un abile ladro. Mancarono da qualche pollaio galline, da qualche granaio pannocchie, patate, fagioli. Un poco di tutto quello che c’era. La sua giornata trascorreva nell’accudire il bambino, nell’assistere Alma, nel sistemare la casa, e la sera, usciva a cercare qualcosa da mettere in pentola.
Passarono così quasi due mesi. Nicolò li visse come un’eternità.
I primi giorni della primavera portarono in dono alcuni timidi raggi di sole e con quelli, finalmente, il ristabilirsi di Alma, che, superato il momento critico in virtù della sua forte fibra e delle premure di Nicolò, si avviò a guarigione completa. Anche Vito era cresciuto senza problemi e questo inorgogliva Nicolò che si era dimostrato all’altezza del compito di padre.
Il sorriso tornò a frequentare quella casa. Ed il destino, che sceglie bizzarro, decise di offrire loro più miti condizioni di vita.
Nicolò poté riprendere il lavoro precedente e la confidenza con le tecniche di restauro gli permise di guadagnare discretamente.
Alma fu contattata da un nobile proprietario di una grande azienda agricola, il conte Ludovico, che a conoscenza delle sue capacità, la volle incontrare per decidere se affidarle o meno l’organizzazione logistica dei lavoranti stagionali.
Il conte era un uomo maturo, intorno alla cinquantina, un fisico asciutto, modi raffinati, una gran cultura. Era uomo illuminato che non aveva mai approfittato della sua condizione per infierire sugli altri. Intelligente e comprensivo, acuto e benevolo, un signore quasi al di fuori del mondo e del suo tempo. Godeva di grande prestigio e nessuno osava contrapporsi a lui.
Nella grande villa, nella quale Alma si era recata per incontrarlo, regnava il silenzio.
Accompagnata da un servitore, era stata fatta accomodare in un vasto salone nel quale arazzi, tappeti, quadri, mobili di pregio, tendaggi, affreschi offrivano alla vista una garbata ed elegante armonia. – Buon gusto e classe – si trovò a dire a mezza voce Alma proprio mentre entrava il conte – Sono contento che apprezzi, e le parole con le quali ha palesato il suo gradimento la vestono di quel garbo che non si trova più – disse l’uomo mentre effettuava una rapida ricognizione della donna. Si sedette in una poltrona difronte a lei. – La voce del popolo non le rende giustizia poiché lei é più bella di come la descrivono. E non temo il sottolineare che ne sono lieto. Se poi vi é corrispondenza tra ciò che si vede ed il suo mondo di pensieri, allora andremo d’accordo.
La prego di considerare questa mia affermazione come un’espressione sincera del mio apprezzamento. –
Alma abbozzò un timido sorriso che offrì senza abbassare gli occhi all’uomo – Ho bisogno di qualcuno – disse con serietà il conte – che sappia organizzare gli aspetti logistici dei lavoranti stagionali che qui affluiscono per tutti i lavori della campagna. Dalla sistemazione negli alloggi al vitto, dalla distribuzione degli attrezzi alla loro manutenzione, dalla formazione dei gruppi di lavoro al coordinamento. Qualcuno che si interessi di tutto ciò che concerne le necessità di quella gente nel periodo della loro permanenza in questa azienda. Altri si sono cimentati, tutti uomini, in questo compito, solo alcuni sono riusciti. Ho saputo dell’originalità delle sue proposte e sono curioso di capire se anche in un settore come quello che le propongo si possono applicare gli stessi criteri di razionalità e di buon senso. –
Alma, inorgoglita da tanta considerazione, replicò con sicurezza – Dirle che farò del mio meglio penso non la soddisferebbe. Non mi giudichi presuntuosa se affermo che potrà compiacersi con se stesso per la fiducia che mi avrà accordato. –
La risposta fu molto apprezzata e per Alma si dischiuse un mondo di possibilità sino ad allora impensate.
Nello svolgimento dell’incarico Alma ebbe a confermare la sagacia che aveva in precedenza dimostrato, e questo non poté che accrescere la stima nei suoi confronti.
Il suo equilibrio nel risolvere problemi, nel dirimere le controversie, nel trattare con i lavoranti, la fece divenire in breve tempo un riferimento preciso per il padronato e per i lavoratori di tutta la zona. Il suo nome cominciò a circolare in un vasto ambito, ma se la considerazione che la circondava faceva cadere l’ostilità di alcuni, per contro l’invidia di altri prese a diventare più profonda, più perfida.
In una calda sera estiva, di quelle in cui l’aria é immota e tutti gli odori della campagna sono al massimo dell’intensità, Nicolò ed Alma, con Vito in grembo, conversavano intorno agli accadimenti delle loro giornate. – Immagina il dipinto di una grande battaglia, di pregio, antico, ricoperto interamente di muffa, uno strato sottile e continuo di muffa gialla – diceva Nicolò – solo la qualità dei colori che l’artista ha utilizzato ha permesso il completo recupero dell’opera. La muffa non era riuscita ad infiltrarsi, altrimenti! –
Alma replicava del suo – Ed io che ho dovuto far bruciare la gran parte dei pagliericci di alcune baracche perché infestati da cimici e da pulci portati da chissà chi! Che fossi riuscita ad identificare il responsabile! – Per qualche momento stettero in silenzio. Nicolò, quasi a tirare le somme di molti pensieri, timidamente disse – Solo pochi mesi orsono, uscendo da questa porta per andare a cercare le sanguisughe ero tanto disperato ed infelice! Il nostro destino sembra nelle mani del vento. In realtà viene premiato chi non ha paura di soffrire, chi non teme i rovesci della vita e li accetta di buon grado, senza incattivirsi. Invece il destino punisce chi non sa apprezzare quello che lui offre. Nel bene e nel male. –
Alma gli si addossò sul fianco – Sapevo, ero certa, che avremmo superato quel difficile momento – Un momento lungo direi – l’interruppe Nicolò. Alma proseguì – Abbastanza lungo, sì, hai ragione. Pensavo che il destino, quello stesso destino di cui tu hai parlato, non poteva non prendere in considerazione il mio amore! Quell’amore é per me come una luce che non si spegne mai, che accende la mia giornata, che mi riempie e mi fa tremare, che mi ha penetrato nel profondo dell’animo e mi possiede. L’amore che nutro per te, Nicolò! –
Tanta e tale fu la tenerezza con la quale Alma pronunciò le ultime parole che Nicolò fu preso da un subitaneo quanto violento turbamento che lo scosse. Quelle parole si impressero indelebili nel suo cuore, come un marchio di fuoco che lascia la sua impronta perenne sulla pelle.
La morte non ama i debiti, e qualche tempo dopo, andò a chiudere il conto col patrigno di Alma, che nella previsione di questo evento, atteso, visto lo scadimento fisico al quale era andato incontro per i suoi vizi, si era premurato di diseredare la figliastra vendendo, donando, trasferendo tutte le sue proprietà a chiunque gli promettesse di osteggiarla.
Ad Alma era rimasta solo la casa nella quale era vissuta, casa che la madre le aveva intestato sin dalla sua nascita e che aveva visto usufruttuario il patrigno.
Al funerale aveva partecipato tutto il paese più per amore del pettegolezzo che del defunto. La gente, sia in chiesa che nel corteo, si era tenuta distante, come se fossero appestati, da Alma, Nicolò ed il bambino. Al cimitero solo qualcuno si era avvicinato per le condoglianze, la gran parte era svanita come per incanto prima di passare il cancello.
Finita la funzione funebre Alma decise di andare a rivedere la sua casa. Attraversarono la piazza del paese dove si erano raccolti tutti coloro che erano scomparsi poco prima.
I commenti velenosi a mezza voce si sprecavano,
– Ora vorrà fare la signora! –
– Ma no! Non le ha lasciato nulla! –
– Cosa poteva aspettarsi dopo averlo trattato a qual modo! –
– Che sfacciata, non sono sposati e si fanno vedere anche col bambino! –
– Il prete non dovrebbe permetterlo. –
– Ma verrà il tempo, ah, verrà! –
La coppia, come una nave agile tra i flutti, scivolò su quel mare di maldicenza e di cattivo gusto, e raggiunse, dall’altra parte del paese, la casa. L’incuria e l’abbandono nelle quali la trovò rattristarono molto Alma. L’orto, il campo, il piccolo giardino erano incolti da lungo tempo, la casa aveva urgente bisogno di manutenzione, la stalla era vuota. Qualche mobile era rimasto al piano superiore. Alma ritrovò il suo letto ed il vecchio cassettone. Anche una bambola senza capelli con la quale aveva giocato bambina.
Vi si trasferirono qualche giorno dopo lasciando con nostalgia la piccola dimora che aveva visto nascere il loro rapporto.
Il destino decise di regalare loro un poco di respiro e un minimo benessere. Nella nuova casa, più ampia, la famiglia crebbe. Vennero al mondo altri due bimbi, Luca ed Andrea. Vito era diventato un bel bambino ed incominciava ad aiutare i genitori nei piccoli lavori casalinghi e nella cura del campo annesso, nel quale veniva piantato il granoturco.
La famiglia viveva un clima di serenità, anche se l’ostilità della gente era sempre viva nei confronti di entrambi. A Nicolò non perdonavano la sua origine, sostenendo che gli emigrati portavano via il lavoro alla gente del luogo, e la sua discrezione, dava fastidio che nessuno sapesse nulla della sua vita precedente. Di Alma non tolleravano l’esser divenuta un modello per molte giovani donne che mal sopportavano i vincoli imposti dalla cultura e dalla tradizione.
Alma, che aveva conquistato la  stima da parte del conte per il quale lavorava, aveva fatto circolare presso tutti i lavoranti della zona, un volantino che rivendicava un orario di lavoro meno pesante e un miglior trattamento economico. Ciò che era riuscita ad ottenere per sé e per i suoi compagni, dal conte, voleva si estendesse ad altri.
Il volantino recava scritto, tra le altre cose :
“…Noi intendiamo rivolgerci all’intelligenza dei padroni che possono ben capire come un lavorante stanco tenda a rallentare il suo ritmo, riduca lo sforzo, e quindi finisca per produrre meno, mentre chi é adeguatamente riposato, può sostenere il turno di lavoro prestabilito… D’altro canto, se chi lavora non é incentivato da un compenso stimolante, si può immaginare con quale entusiasmo tenga stretto tra le mani il proprio strumento di lavoro…”
Il conte, a conoscenza delle rivendicazioni, fece in modo di incontrare Alma, come per caso, poiché non voleva affrontare formalmente il discorso. Andò a trovarla sulle aie, mentre seguiva la trebbia – Buongiorno Alma – la salutò avvicinandola. Da tempo il nobile le dava del tu. – Vorrei parlarti. Spostiamoci all’ombra, oggi fa caldo! Mi hanno riferito di quel tuo scritto che sta andando in giro per i campi. Tu sai che condivido il tuo punto di vista, ma ho la convinzione che altri non ne saranno contenti. –
Alma lo guardò dritto negli occhi, ne lesse la sincerità ed i timori. Il rapporto col conte era stato sempre corretto, ma distaccato. Quella mattina per la prima volta lo vedeva preoccupato per quello che sarebbe potuto succederle. – Mi conforta sapere che condivide le mie idee, anche se non ne ho mai dubitato. Mi dispiace, anche se mi inorgoglisce, essere la causa della sua apprensione per ciò che potrebbe capitarmi! Ma ho deciso di non fermarmi, di affrontare tutti i rischi che questa battaglia comporta. –
Il conte le offrì un bicchiere d’acqua fresca – Mi dicesti quando ci incontrammo la prima volta che mi sarei compiaciuto di averti dato la mia fiducia. Ebbene posso affermare che lo sono, ed é per questo che non vorrei dover rinunciare alla tua opera ed alla tua presenza. Per tutto quanto sarà nei miei poteri cercherò di evitarti qualche guaio, se me lo permetterai! –
Alma avvertiva un poco d’imbarazzo, ma gli occhi del conte erano illuminati da una luce chiara, senza ombre, rassicurante, paterna. Alma si sciolse – Ho sempre avuto tanta stima per lei, ma adesso non é più solo quella.  Non mi vergogno di ammettere che si é generato nei suoi confronti, in me che non ho conosciuto mio padre, un affetto filiale. Non mi é stato difficile, osservandola, lavorandole vicina, apprezzarne le capacità, l’umanità, la comprensione, ed attribuirle quel ruolo. Non vorrei che ciò la offendesse, ma avevamo concordato di dirci in ogni caso la verità. E questa é la verità. –
Il conte dissimulò con eleganza la commozione improvvisa che l’aveva sorpreso, e rispose – Quello che mi hai detto non solo non mi offende, ma mi rende felice. In un mondo che sembra aver perso di vista ogni valore, tu mi sembri una sperduta luce in mezzo ad un oceano in tempesta. Sappi che mi troverai al tuo fianco, comunque. –
Si allontanò lasciando Alma intenerita e pensosa.
Alma nella sua attività sindacale si era appoggiata ad Ermanno, l’amico di Guido, col quale aveva intrapreso una corrispondenza epistolare. Gli scriveva Alma ” Gentilissimo signor Ermanno, ho ricevuto con piacere la sua lettera. Mi scuso della mia sfacciataggine, sia per averla disturbata con l’invio del mio biglietto, sia perché ho esplicitamente preteso una risposta. Quando ho aperto la busta ed ho estratto il foglio avevo il timore di leggervi un freddo messaggio di rincrescimento e di diniego. Ora sono felice. Il poter confrontare le mie idee, il poter trovare chiarimenti e risposte ai tanti dubbi che mi assillano, questa benevolenza e questa confidenza che lei mi concede, sono per me come una linfa vitale. Essere utili solo a se stessi, solo alla propria famiglia é certo assolvere un importante compito sociale, ma per chi ha sempre avvertito come essenziale l’interessarsi agli altri non può bastare. E’ pur vero, e me ne accorgo, che questo aprirmi ai problemi della gente mi allontana un poco dai miei impegni familiari, ma Nicolò, il mio compagno, credo capisca questa mia esigenza e fa in modo che io non sia impedita nel realizzarla. Alma”
Ermanno rispondeva ” Gentile signorina Alma, leggo sempre con piacere le sue lettere. I quesiti che mi pone, talvolta, mi creano un serio imbarazzo. Non é facile, in poche e semplici parole, come lei chiede, illustrare, approfondire e chiarire tematiche politiche e sociali di respiro così vasto. Ne é possibile costruire quelli che chiama modelli di simulazione per fare previsioni “precise” sugli sviluppi futuri di alcune situazioni. Mi domanda, tra le altre cose, se il fascismo troverà largo seguito. Personalmente, anche se noto un certo fermento, sono convinto che, accostandosi a responsabilità di governo, quel movimento tenderà a rientrare nell’alveo della tradizione democratica. Pochi scalmanati, un manipolo di facinorosi, non debbono far pensare ad un’evoluzione del movimento in senso totalitario. A proposito dell’incontro che intende organizzare nella sua zona mi dichiaro sin d’ora disponibile a partecipare. Ho solo bisogno di sapere data e luogo con qualche giorno di anticipo.
Avrò il piacere di rincontrarla. Ermanno”
Alma aveva infatti organizzato una riunione con i lavoranti della zona per meglio chiarire il senso del suo il volantino diffuso nelle settimane precedenti.
L’incontro si sarebbe svolto in un granaio vuoto appartenente al conte, che lo aveva messo a disposizione di Alma per quell’occasione.
Era giunto dalla città per parteciparvi Ermanno.
Pochi si presentarono. La sala tristemente vuota fece credere ad Alma che l’iniziativa poteva essere stata intempestiva, inopportuna, e che forse non fosse tagliata per quel tipo d’attività. Ma quando due giovani sopraggiunti raccontarono che a molti lavoranti qualcuno aveva amichevolmente consigliato di non partecipare per evitare l’allontanamento dal lavoro o guai in genere, Alma capì il senso e la  direzione del suo agire.
Fu deciso di dar vita al dibattito anche se il numero esiguo, erano appena una dozzina, avrebbe suggerito di soprassedere.  Alma con un tono asciutto disse – Chi ha avuto il coraggio d’essere presente apre una strada per gli altri. Chi oggi é qui rischia per sé e per quelli che hanno avuto paura e che sono rimasti al sicuro, lontani dalla mischia, dal pericolo. Le minacce che sono state fatte e che hanno convinto a disertare i tanti desiderosi di incontrarsi, di discutere, di dibattere, sono il segno evidente che i padroni temono anche queste prime iniziative. Sanno bene che i muri si sbriciolano sassolino su sassolino ed anche un poco di polvere che cade significa che sta aprendosi un varco, una crepa. Abbarbicati ai loro privilegi, timorosi di vedere assottigliarsi il loro patrimonio, la roba, avvezzi a far dannare per pochi soldi sui propri campi i bisognosi, che con la loro fatica e con la loro fame li saziano e li arricchiscono, non hanno ancora capito che ad essere uomini v’é più soddisfazione che ad essere ricchi e potenti. Ed io, con voi, se queste mie idee le condividete, voglio costringerli a diventare uomini. Li obbligheremo a fare i conti con la loro coscienza ed a guardarsi allo specchio. Se non altro si accorgeranno che talvolta é il caso di rendersi più presentabili!  –
Con questa battuta Alma si volse verso Ermanno che prese la parola – Giudico Alma una donna molto particolare. Le sue idee forse possono apparire formulate in modo originale, ma sono il frutto di un convincimento profondo che condivido: l’uomo merita questo appellativo se opera per superare una condizione di egoismo innato, per vincere quella forza di gravità che se ci permette di stare in piedi, ci attanaglia alle cose impedendoci di capire e di volare. E l’egoismo non é solo quello dei ricchi. La paura é egoismo, sano si potrebbe dire, ed ai più non manca. L’invidia é egoismo, le chiacchiere sono egoismo. E come rinunciare al piacere di riempirsi la bocca! Ma non é facile vincere questa forza. E’ un lento processo educativo, nel quale vicendevolmente ci si aiuta a capire, ci si dà la misura. Ma non basta. Controvoglia occorre forzare il naturale desiderio di quiete, il rallentare il passo per riflettere, il prendere un momento di respiro. E’ una corsa affannosa contro subdoli nemici. Ma se si riesce, se si trova il senso, quello vero, ci si eleva al di sopra delle miserie, delle beghe. –
Ermanno parlava, ma senza rendersene conto, solo per Alma. Lei era un poco in imbarazzo poiché i pochi presenti, braccianti, umili contadini, si rendeva conto, non capivano quei concetti, certamente elevati, ma troppo lontani dalla loro quotidianeità. Ed allora interrompendo Ermanno disse – L’opera educativa nei confronti di chi vive lontano dalla cultura, di chi non vi può accedere é un discorso che ci porterebbe lontano, se invece il signor Ermanno volesse farci capire perché i padroni non ci pagano per quanto si lavora…-
– Certo, vogliate scusare questa mia digressione – replicò Ermanno arrossendo – e per entrare subito nel tema che ci eravano proposti, vi esporrò alcune mie riflessioni. La prima é che é arrivato ormai l tempo del confronto: non sono più ammissibili condizioni vessatorie di compenso e di orario di lavoro accettate senza discutere, prendere o lasciare, tanto non c’é alternativa. I vostri padroni si nutrono del vostro sudore, e senza di voi non mangerebbero neanche loro. Se voi decidete di incrociare le braccia, anche a costo di patire la fame, alla lunga si vedranno costretti a cedere alle vostre richieste. –
Disse uno dei presenti con accento del luogo – E’ facile parlare. “Alla lunga”. Ma in tutto quel tempo chi dà da mangiare ai miei? Per me io sono abituato, ma loro? Ne ho uno di otto mesi. E allora? –
Un’altro aggiunse – Poni che noi si incroci le braccia, e se quel cane del padrone, ti chiama cento di quei meridionali, che hanno bisogno anche loro, e li fa lavorare e quelli non dicono di nò, a noi cosa resta? Uno sberleffo! –
Ermanno tentò di uscire dal vicolo nel quale si era cacciato – Occorre essere uniti, compatti, anche con quelli del sud. Sono gente come voi ed hanno gli stessi problemi guai se vi dividete! Voi e loro, insieme potete…-
In quello stesso momento arrivò di corsa, trafelato il figlio del guardiacaccia. In modo concitato comunicò di aver visto una squadra di giovinastri che si dirigeva verso il granaio e che, nelle grida e negli atteggiamenti, manifestava l’intenzione di intervenire all’incontro, ma non con l’intento di essere catechizzati. La riunione era stata considerata una provocazione, era stata raccolta e, chi di dovere, aveva preso le contromisure.
Alma manifestò la sua contrarietà ad interromperla, ma i pochi presenti la convinsero che non era il caso di accettare lo scontro, peraltro impari e pericoloso. Alma ed Ermanno lasciarono il granaio col la preoccupazione per ciò che sarebbe potuto succedere a chi aveva deciso di restare per coprire loro le spalle. Dovettero  nascondersi sino a notte fonda in un casale utilizzato per accatastarvi il fieno appena falciato.
– E’ incominciata la tua caccia! – disse Ermanno ad Alma – Anche se oggi cercavano me, da domani sarai tu l’obiettivo. –
Alma serafica rispose – Le mani del mio patrigno erano pesanti come un maglio. E non si limitava alle carezze. Sono abituata alla violenza, sin da piccola. Le botte non mi fanno paura. Uccidere un passero non fa tacere tutto il bosco. Tu piuttosto! Fai certo molto più chiasso e quello che dici punge, fa male ai padroni! Rischi ogni giorno e continui. Perché? Cosa ti spinge? Bello quel tuo discorso, sull’essere uomini, ma direi per la riunione, inadatto, se il maestro permette. –
– Lei é una lingua lunga, gentile signorina Alma. Lo sa che non si possono fare critiche ai maestri? –
Era ormai notte fonda ed Alma decise che era venuto il momento di lasciare il casale e di tentare di raggiungere la sua casa. Non vi era più nessuno in circolazione e con una bicicletta, presa a prestito, poterono raggiungere la casa di Alma in breve tempo.
Nicolò, ancora sveglio, li accolse.
Aveva saputo dell’accaduto e li aveva attesi. – Vi ho tenuto in caldo un poco di minestra. Sedete accanto al camino. Ve la servo subito. –
Nicolò era tranquillo. Ermanno notò che trattava lui ed Alma con la stessa familiarità e si meravigliò – Ho letto le sue lettere, Alma mi parla spesso di lei, mi pare di conoscerla da tempo, ho finito per considerarla uno della famiglia.- gli disse Nicolò cogliendone il pensiero. – E non veda strano il fatto che in questo momento io veda Alma più come una sua compagna di battaglie, che come la madre dei miei figli. Vede, quando un individuo, convinto della sua scelta, intraprende una strada difficile necessita di tutte le sue energie nel momento della lotta e pertanto non gli si può chiedere d’essere presente ad altre situazioni. Il rientro alla vita di tutti i giorni deve essere graduale. E’ come cambiare registro, ci vogliono  alcuni minuti. Alma sta compiendo questa operazione e fintanto che non l’ha completata, per me, é la rappresentante degli interessi di molti poveri oppressi. –
Alma intervenne quando vide scendere per la scala Vito, che incuriosito dalle voci, con la scusa di bere, aveva voluto vedere di che si trattava. – Riprendo il mio ruolo di madre. Chiudo il capitolo delle lotte sociali. – E prese in braccio il bambino offrendogli un bicchiere colmo d’acqua. Di sottecchi Vito scrutava, mentre beveva, lo sconosciuto ed il gesto fu notato da Nicolò – Anche Vito é perplesso, vi guarda quasi con sospetto. Lui, come me, non capisce il perché di questo vostro agire. Vi dannate a spiegare alla gente quello che dovrebbe capire da sola, mettete a rischio la vostra incolumità per difendere interessi che non sono i vostri, siete presi di mira da chi detiene il potere, perché fate lievitare le richieste di quelli che dipendono da loro. Tentate di cambiare una realtà economica e e sociale consolidata dal tempo e dalla tradizione. E se anche riusciste nel vostro intento questo non costruirebbe una società migliore della nostra, quella del sud, nella quale a ciascuno viene assegnato un ruolo, dalla nascita, e ruolo che non può cambiare senza il consenso di chi gli sta sopra. In entrambi i casi é l’organizzazione del sistema a vincere. Se non si tiene in nessun conto del criterio di eguaglianza tra gli uomini, e si tende a stratificare un tessuto sociale che aspira solo a sopravvivere, ancor meno si fa emergere la diversità, la capacità individuale, la peculiare origine dell’uomo. In  nessuno dei due casi é data la possibilità ad un pensiero originale di emergere, di sopravanzare, di diffondersi. Entrambi i sistemi tendono ad omogenare, a livellare verso il basso, non sono permesse idee non conformiste. E questa é la vera espressione di un pensiero forte, razionale, dominante, che non lascia spazio all’umano, all’intuizione, ad una forma di pensiero debole che trova invece la sua forza nel dubbio, nella continua ricerca, nel saper assumere molteplici punti di vista. –
Ermanno rimase colpito dalla profondità del discorso di Nicolò ed a lui rivolto disse – Ritrovo nelle sue parole molti spunti che avevo attribuiti ad Alma. Credevo di essere il maestro, ma mi rendo conto che avrei anche io da imparare da lei. Mi auguro che ci saranno occasioni diverse da questa : mi piacerebbe continuare ad ascoltarla. Credo però sia arrivato il momento di tornare in città, se possibile. –
Nicolò accompagnò, attraversando i campi, Ermanno alla stazione del paese vicino. Attesero insieme il primo treno. Ermanno salutò Nicolò stringendogli ma mano – Le invidio Alma. E’ una donna che vale. A presto, amico mio. –
La contrapposizione padronale a sostegno e a difesa di interessi economici e di potere, spalleggiata dalla nascente ideologia fascista, non poteva non dar luogo ad una spirale di intimidazioni, che, prima subdole e poi via via più pesanti, cominciarono ad coinvolgere Alma e la sua famiglia.
Si trattò all’inizio di consigli amichevoli. Poi di chiarimenti opportuni, infine di vere e proprie minacce, che non si tramutavano in atti concreti per una sorta di protezione che il rapporto di Alma con il conte determinava.
Lo stesso parroco del paese andò a trovare la sacrilega a casa per tentare di convincerla a sottostare a “certi vincoli”. – Vedi, figliola, la tua giovane età non ti permette di capire che certe regole, il rispetto dovuto a chi sta sopra di noi, sono comportamenti che il tempo ha consolidato. Non é da ieri che al padrone spetta ogni decisione e che al povero, cristianamente inteso, é ovvio, non compete che ubbidire. E se vi é qualcuno che non condivide questa consuetudine, per evitare guai maggiori, tu mi capisci, é necessario almeno fingere di assecondare. –
La risposta di Alma, che Nicolò condivise, fu lapidaria – Dite a chi vi manda che per farmi cambiare idea dovranno costringermi. A voi dico che mi rammarica sentirvi fare questi discorsi. Quando ero piccola il vecchio parroco era più interessato a lenire i dolori e la fame dei poveri, degli afflitti, che a frequentare i potenti. Disse una mattina in chiesa, e dovrebbe divenire la vostra regola, che Dio assolve chi viola la norma per aiutare i suoi simili, mentre punisce severamente chi la rispetta a scapito dei deboli. –
Il clima di intimidazione cui venne sottoposta Alma ebbe un effetto contrario a quello desiderato. La sua attività sindacale divenne più intensa. Si rese promotrice di uno sciopero, organizzò cortei di protesta, si contrappose con astuzia all’ideologia fascista che sempre più andava invadendo le istituzioni e la realtà locale.
Era il 1924, e le elezioni portarono al governo il partito fascista cancellando di fatto gli ultimi barlumi di democrazia. Anche nel paese i fascisti festeggiavano riuscendo a coinvolgere in qualche modo la gente che andava convincendosi che parole come ordine, pulizia, patria, ed altre simili, ben rappresentavano il loro confuso desiderio di una vita migliore.
Alma e Nicolò, che si erano recati con Vito a trovare la vecchia ostetrica ormai costretta a letto dagli esiti di un insulto cerebrale, si vennero a trovare per caso in mezzo alla manifestazione che si svolgeva in piazza. Cercarono di aggirare la moltitudine passando per vicoli laterali, ma si imbatterono in un gruppo di facinorosi della zona che li conoscevano. Si trovarono faccia a faccia. – Ah, ecco i ribelli – disse uno dei fascisti – Li conosciamo bene questi due: sono quelli che non intendono sottostare alle regole. Non sono sposati ed hanno tre, dico tre figli, lui viene dal sud, non so se mi spiego, lei lavora per il conte e fa la sindacalista. Non vanno d’accordo col prete, non frequentano nessuno, non saranno forse troppo orgogliosi? – Continuò un altro del gruppo – A dare ascolto a ciò che diceva il patrigno la signora non é poi così candida come sembra. – Queste ed altre maldicenze venivano loro indirizzate dai componenti il gruppo, che diventavano sempre più furenti per il palese disprezzo che Nicolò e di Alma manifestavano ignorandoli. La coppia col bambino procedeva per la propria strada, affiancata dagli scalmanati, senza la minima risposta alle provocazioni.
La cosa fu notata dal maestro della scuola elementare del paese, divenuto un esponente del nuovo partito. Costui era un individuo che si era nutrito sin dall’infanzia di boria e d’invidia. Aveva portato nella sua attività didattica queste virtù e le aveva insegnate a molti. Decise di intervenire. Fermò la famiglia piantandosi davanti a loro, subito il gruppo si schierò alle sue spalle interrompendo il vociare – Questi ragazzi sono eccitati dal successo del partito e quindi é comprensibile la loro euforia. Persone intelligenti come voi, non dovrebbero aver difficoltà a capirli. Se hanno esagerato chiedo scusa per loro. – Il tono era gentile, ma la voce trattenuta tradiva ben altri pensieri che non tardarono a venire in superficie – La vostra situazione di certo non é educativa nei confronti di queste nuove forze del paese. La patria necessita di figli retti, fedeli, obbedienti, rispettosi… –
Lo interruppe Nicolò – Se ancora esiste la libertà in questo paese, avremmo il piacere di tornare a casa per non essere di cattivo esempio, con la nostra stessa presenza e col silenzio delle nostre parole, per quei giovani di viva intelligenza che la circondano. – Le parole di Nicolò schioccarono come una frustata e ne produssero l’effetto. Il maestro si riprese a fatica – Vuole prenderci in giro, l’emigrato. Il silenzio delle parole!… E mette in dubbio la nostra intelligenza. – Con calma serafica Alma si inserì nella diatriba – Nessun dubbio, signor maestro, nessun dubbio, vero Nicolò? Sono stati suoi allievi e quindi hanno imparato tutto,… o quasi. –
L’ironia di Alma fu giudicata irriverente e l’intero gruppo con in testa il maestro si fece d’appresso. A Nicolò tornarono alla mente le immagini di prevaricazione che aveva vissuto da ragazzo e, come allora, impulsivamente reagì in anticipo sulle intenzioni degli altri. Afferrò il maestro per il bavero della giacca, lo sollevò quasi da terra, avvicinandolo a pochi centimetri dal suo viso, gli soffiò in faccia, come un felino pronto all’attacco – Signor maestro padano, prima che mi travolga l’impeto di cambiarle i connotati, sarà il caso che raccolga la sua ciurmaglia e sparisca. –
Il confronto si era surriscaldanto. Stava per tramutarsi in scontro fisico vero e proprio quando intervennero alcuni paesani, che letteralmente strapparono il maestro dalle mani di Nicolò. Si ristabilì un’apparente calma che permise alla famiglia di Alma di riprendere il cammino verso la propria casa. A tutti apparve chiaro come l’episodio avrebbe sicuramente avuto un seguito nei giorni o nelle settimane successive.
Il timore di una vendetta teneva in apprensione Alma, mentre Nicolò dimostrava sicurezza ed affermava che nulla sarebbe accaduto. Era trascorsa una settimana dall’episodio e sembrava che Nicolò avesse visto giusto, quando Alma, a casa con i figli, ricevette la visita di Guido, entrato a far parte dei ranghi fascisti. Guido, ferito nell’amor proprio e nella sua vanità di uomo dalle scelte della donna, non aveva più cercato di incontrarla, anche se era viva in lui la considerazione ed il rispetto di un tempo, come il desiderio di rivederla. L’occasione parve a Guido, presentandosi nella veste di un amico che vuole ben consigliare, la più propizia per riaprire quel dialogo che gli era mancato in tutti quegli anni. Alma lo ricevette senza particolare entusiasmo, ma lo trattò con gentilezza e garbo – Sono qui perché mi preoccupa quello che é successo una settimana fa – disse Guido con aria addolorata – Tu sai che il vecchio maestro é un tipo astioso e vendicativo e non ti sto a raccontare quello che ha detto e fatto per convincere i capi ad intervenire a difesa del suo onore compromesso. Io sono intervenuto per calmare le acque, ho garantito per te, in nome della nostra vecchia amicizia. Ho promesso, anzi assicurato, che tu entrerai a far parte del gruppo. Per quanto concerne Nicolò, basterà che chieda scusa al maestro in una prossima riunione. Che ne dici? Ho fatto bene? Sei d’accordo? – Guido cercava sorridente e soddisfatto una conferma ai suoi atti, che aveva congegnato con la segreta speranza di riportare Alma nella sfera della sua influenza. Alma, che in quel momento si apprestava a servire un caffé a Guido, e che quindi si trovava vicina a lui, lo guardò negli occhi dapprima con aria stupita, poi perplessa ed infine irritata, cancellandogli dalla labbra l’espressione di contentezza presente. Con un tono forzatamente calmo iniziò a dire – La ringrazio per quanto ha potuto fare in nostro favore, e mi fa piacere che nutra ancora un sentimento di amicizia nei miei confronti. Ma tanto tempo é trascorso dai giorni dei nostri incontri occasionali e noi non siamo più gli stessi. Abbiamo deciso di percorrere strade differenti che non hanno, né avranno mai alcun punto di contatto. – Nella voce di Alma incominciava ad affiorare lo sdegno – Ciò che non capisco, e ne sono costernata, é il fatto che lei abbia potuto pensare ad un mio diretto coinvolgimento nei vostri affari, perché di affari si tratta, e che non ho il timore di definire poco rispettosi della gente, della loro libertà, dei loro diritti. Mi meraviglia che lei sia entrato a far parte di una tal congrega. Ben altro mi sarei aspettato da un uomo che comunque aveva una sua influenza ed una personale visione della vita, anche se discutibile. Certamente non un confluire acritico in un fiume invaso da maleodoranti liquami. –
Guido aveva immaginato quel dialogo in modo completamente diverso. In un attimo si rese conto che era stato il suo desiderio di riavvicinarsi ad Alma a non fargli percepire l’enorme divario esistente. Si era fatto cogliere impreparato ed un soffocante imbarazzo lo pervase. Alma continuò – Ma se per ciò che mi concerne posso anche accettare una così distorta valutazione, non mi é comprensibile come lei abbia potuto solo pensare che Nicolò avrebbe accettato di chiedere scusa senza avere nessun torto! – In Guido maturava il disappunto per quell’iniziativa tanto improvvida, quanto umiliante. La ragione gli suggeriva di andare via senza replicare, ma il suo orgoglio lo spinse ad una reazione aggressiva – Siamo venuti qui con le migliori intenzioni e quale é stata la risposta? Una continua offesa personale e nei confronti del partito. Incomincio a pensare che il maestro abbia ragione. Contro i sobillatori occorre utilizzare il bastone e la frusta poiché la carota non serve! – Alma lo guardò incredula e gli si rivolse dandogli del tu come a volerlo riportare ad una primitiva condizione di buon senso – Guido, per l’amor del cielo, in nome della passata amicizia, ti rendi conto di come stai parlando? Di quello che stai dicendo? Ma sei tu il Guido col quale parlavo qualche anno fa?-
Guido viveva una situazione schizofrenica palese, dentro di sé avvertiva il rimorso e si sentiva solidale con Alma, mentre all’esterno manifestava sicurezza nei gesti e disprezzo per lei – Ho capito che non vi é possibilità di farvi capire, a lei signorina Alma e al suo compagno, come dobbiate comportarvi per evitare i guai. Se proprio li cercate, non si faranno attendere. –
Alma interpretò questa ultima frase come una minaccia e, come una fiera che difende i suoi cuccioli, si parò minacciosa al cospetto di Guido. Vito, che aveva assistito in disparte al dialogo, corse verso i due e si interpose tra quello e la madre a dimostrare il suo sostegno ed a prepararsi per un eventuale intervento di difesa.
Guido, che si era alzato per fronteggiare Alma, prese il suo cappello ed uscì senza nessun cenno di saluto.
Con le mani sulle spalle di Vito, ancora entrambi immobili, Alma disse al bimbo – Hai avuto paura Vito? –  Con te mai, mamma – Vito rispose ed andò a chiudere la porta che l’uomo aveva lasciato aperta.
Il conto era soltanto in sospeso, ma da un momento all’altro sarebbe stato chiesto il saldo. Non passarono ventiquattro ore che il conte informò Alma che per Nicolò vi era un reale pericolo e che sarebbe stato il caso che si nascondesse per qualche tempo.
Tornando a casa Alma discusse con Nicolò della situazione – E’ opportuno, anche se a te pare una vigliaccheria, che sparisca per almeno due, tre settimane, forse anche per più tempo. E non ti devi preoccupare di lasciarci soli. E considerato che io sarò controllata in tutti gli spostamenti sarà Vito a tenere i rapporti e a venire a trovarti. Il conte ci ha messo a disposizione, nel grande parco, il vecchio mulino abbandonato che pochi ricordano e che nessuno frequenta. Lì starai finché non sarà passata la buriana. –
Nicolò, capiva che era la decisione più saggia, ma non sempre si dà ascolto alla ragione – Il sapere che siete alla mercé, in balia di quella banda di delinquenti, di impuniti, di ladri… –
– Basta Nicolò, non é scagliandoti contro di loro che risolviamo questo problema. Non avrebbero il coraggio di prendersela con me, tanto sono vili, sapendo che godo della stima del conte. –
– Anche questo non mi piace, poiché dovrei essere io a garantire a te ed ai miei figli la sicurezza di una vita senza pericoli e il rispetto della gente, cose che invece non sono in grado di offrirvi – disse Nicolò con amarezza – Tu ci hai offerto molto di più, Nicolò – lo consolò Alma avvicinandosi ed abbracciandolo con tenerezza – ci hai insegnato tutto, dalla compostezza dei gesti, all’equilibrio dei pensieri. A te dobbiamo l’ampiezza degli orizzonti, la sobrietà dei discorsi, l’ironia. Ci hai resi felici, Nicolò, e di me hai fatto una donna, che ancora ti deve ripagare di tutto questo. –
Era notte inoltrata quando Nicolò lasciò la dimora per andare a nascondersi presso il vecchio mulino. Con l’animo frantumato da un vortice di sentimenti contrapposti baciò Vito, che era ancora in piedi, e salutò Alma – Soffrirò questo distacco. So che é necessario. Ma non intendo più fuggire. Ti farò una sorpresa quando tornerò a casa, spero. –
Alma , che l’aveva accompagnato fin sull’uscio, lo strinse forte a sé – Ogni tua parola affonda nel mio cuore un seme. Quando il campo sarà fiorito non crederai ai tuoi stessi occhi. Ti manderò Vito, domani.-
Rientrando in casa incontrò lo sguardo di Vito e gli disse – Ogni giorno, andrai da tuo padre a portargli da mangiare. Dovrai fare in modo che nessuno ti veda o ti segua. Metteremo il cibo nel bidoncino del latte e così chi ti vedesse crederà che stai andando a ritirarlo. In effetti tu lo ritirerai, ma dopo che sarai stato da tuo padre. Sei già grande e te la caverai senza problemi. Non credi? –
Vito, inorgoglito dalla fiducia della madre, rispose – Non mi scopriranno, mi metterò a correre veloce e non potranno seguirmi.-
– Non c’é bisogno che corra, deve sembrare come tutti i giorni, il resto é facile. Ora vai a dormire. –
Il consiglio di Alma accompagnò Vito che saliva per le scale. Giunto a metà si fermò e, rivolto con voce morbida alla madre, disse – Non ti devi preoccupare, ci sono io qui con te. Noi non abbiamo paura, vero? – e senza attendere risposta sparì al piano superiore.
La loro casa era continuamente sorvegliata, ma lo stratagemma congegnato da Alma funzionava e Vito poteva recarsi tutti i giorni dal padre. Non poteva trattenersi a lungo, doveva evitare che la sua lunga assenza insospettisse. Aveva il tempo che la sua corsa gli faceva risparmiare, corsa che iniziava appena si allontanava dalla casa e che finiva al suo ritorno a poche centinaia di metri dalla stessa. Quando Vito raggiungeva il padre nel nascondiglio, Nicolò gli parlava per tutto il tempo. Gli chiedeva della madre, dei fratelli, del campo, della mucca che avevano comprato qualche tempo prima. E gli raccontava di sé e dei suoi convincimenti. Gli disse una volta – Il proprio passato emerge sempre, nel bene e nel male. Nel bene quando tu non tradisci le tue origini, nel male quando non riesci a liberarti dai pregiudizi che ogni cultura produce. Ciò che vorrei per te é che tu non scordassi e non tradissi mai, né le tue origini, né le tue idee. E quando avrai la possibilità, ed é certo che vi arriverai, di fare qualcosa per la gente ricordati anche delle isole nelle quali é nato ed é vissuto tuo padre. Io lo saprò e ne sarò felice. –
L’organizzazione dei quadri fascisti richiamò verso la capitale, dalla provincia, numerosi adepti. Dal paese partirono e si allontanarono, seppur temporaneamente, coloro che cercavano la vendetta e ciò determinò un allentarsi della sorveglianza prima e la possibilità poi per Nicolò di tornare a casa e riprendere, anche se con qualche precauzione, il lavoro.
Era primavera inoltrata. Nicolò era tornato da qualche giorno a casa. Una sera, mentre si apprestavano a coricarsi nel letto, Alma gli disse – A furia di stare da solo ti sei abituato a non parlare? Non mi hai detto nulla o quasi su come hai trascorso tutto questo periodo. Qualcuno mi ha riferito che non sei sempre rimasto nascosto nel mulino. Poi mi avevi detto che mi avresti fatto una sorpresa. Mi vuoi spiegare qualcuno di questi arcani? –
Nicolò sorrideva sornione. Con aria seria disse – Faremo un viaggio al sud tra qualche settimana. Mi sono spostato dal mulino per poter incontrare qualcuno ed organizzare il viaggio ed un matrimonio. –
– Si deve sposare qualche tua sorella? – domandò Alma – E vuoi approfittarne per portarci al tuo paese? –
– Non ho sorelle.  – replicò Nicolò
– Ho invece pensato a lungo…-
– Nicolò! – esclamò Alma – Non avrai in mente…! –
– Ho deciso che…., anzi vorrei…, non so come dire. Fra tante parole non trovo quelle giuste. Vorrei che tu diventassi mia moglie, Alma. Ne saresti felice ? –
Alma trattenne la sua improvvisa emozione, stemperò la contentezza, gettò acqua sul fuoco – Non credo che sia il momento opportuno. Eppoi a me non ha mai importato molto. –
Nicolò la prese per le mani – Alma mi vuoi sposare? Vuoi dirmi se ti piacerà condividere questo nostro faticoso cammino? –
Vinta dalla gioia Alma cedette ai sentimenti, e, poggiato il capo sul petto di Nicolò, pianse sommessa – Non v’é desiderio più grande in me. E’ un dolce momento questo e l’ho tanto atteso, lo confesso. Ma dove ci sposeremo, quando? –
– E’ tutto predisposto. A Ravenna, durante il viaggio. Non domandarmi più nulla. Adesso vorrei che mi venissi vicina e mi abbracciassi, che …-
I grilli intonarono un cantico gioioso e i raggi della luna che illuminavano la stanza, pudichi, sostarono all’esterno.
Partirono per il sud alla fine di maggio.
Nella cattedrale di Ravenna, dove un coro di voci bianche provava la messa solenne del Cherubini, si sposarono in una cappella laterale. Con loro Vito, Luca ed Andrea e per testimoni due sagrestani. Poi di corsa dovettero tornare alla stazione per riprendere il viaggio.
In treno avevano occupato due interi sedili contrapposti, i bambini da una parte e loro, i grandi, dall’altra. Alma si era messa accanto al finestrino ed aveva difronte Vito. Entrambi osservavano il paesaggio che via via mutava e faceva capire come la mano dell’uomo, guidata dagli usi e dalla cultura dei luoghi, potesse incidere la terra, trasformarla, strapparla alla macchia, alla fitta vegetazione, al bosco e renderla amica prodiga. O come quella stessa mano potesse distruggerla, col fuoco, con la stupidità, con l’avidità che depaupera.
Per la prima volta Alma e Vito videro il mare. La ferrovia lo costeggiava ed in alcuni tratti arrivava a lambirne la spiaggia. Lo spettacolo non aveva bisogno di parole ed i due si scambiavano solo sguardi compiaciuti e di reciproco assenso.
– Ti piace il mare Vito? Con tutte quelle onde bianche?- domandò Alma al figlio – Mi sembra – rispose lui divertito – come un grande pensiero che ribolle, cerca una sua forma, ma in fondo rimane sempre lo stesso. Non ti pare mamma? –
Il viaggio fu lungo e faticoso. Attraversarono l’intero stivale, superarono lo stretto, poi dovettero riprendere il treno per l’ultimo tratto, da Messina al paese. Alla stazione un carretto li attendeva per portare loro ed i bagagli alla casa paterna.
Sull’uscio la madre di Nicolò aspettava e quando arrivarono corse loro incontro fermando il carretto e facendoli scendere tutti. Abbracciò prima il figlio, tutti i nipoti, poi osservò attentamente Alma che baciò con tenero affetto ed alla quale disse
– Se hai potuto riportare Nicolò in questa terra, vuol dire che l’hai restituito alla vita. E di questo ti sono grata. Nicolò credo abbia fatto una scelta giusta, ma anche tu hai trovato un vero uomo. –
In casa furono ricevuti dal padre, che li accolse con una cordialità contenuta, tipica degli uomini del sud, e da pochi amici, che li salutarono frettolosamente rimandando ai giorni seguenti i discorsi più lunghi.
Il paese di Nicolò si distendeva su una piana ben coltivata a pochi chilometri dal mare, dal quale arrivavano con la brezza le fragranze. Era piccolo e con caratteristiche tanto diverse da quelle dei paesi del nord. Le case tutte bianche, come le strade, poco si aprivano all’esterno, mentre all’interno un giardino, un piccolo frutteto, od un orto allargavano gli spazi e rendevano confortevole il soggiorno.
E come le case, così era la gente : poco aperta ed intimidita nei primi contatti, ma calda ed affettuosa quando veniva superato l’ostacolo della diffidenza.
Alma, che libera di impegni usciva spesso con Vito per le strade del paese, aveva notato la curiosità dei paesani ed in specie quella degli uomini che dimostravano ammirazione, ma anche un malcelato disappunto poiché infrangeva quella tradizione di soggezione femminile che non doveva essere messa neanche in discussione. E ne ebbe conferma una sera durante la cena nella quale, contrariamente al solito, il padre di Nicolò si dimostrò loquace – Tutti mi hanno fatto i complimenti per la bella nuora che hanno visto a passeggio per le strade del paese con i bambini. Ma sarebbe meglio che tu Nicolò la accompagnassi, non ti pare? Anche per evitare che possa trovarsi in imbarazzo, disturbata da qualche impertinente, mi capisci? –
Alma voleva replicare, ma un’occhiata fulminea del marito, interruppe il suo moto. Fu Nicolò a rispondere – Ci avevo già pensato, eppoi volevo portarla a vedere la spiaggia grande e quindi saremmo andati insieme. –
– Sì, perché, sai Alma, qui la gente non é abituata a vedere una donna da sola in giro. La donna é indifesa, se qualcuno ha cattive intenzioni!-
Il padre di Nicolò voleva far prevalere il suo punto di vista, il suo modo di stare al mondo in quella terra che non ammette cambiamenti e non offre spazi a chi intende introdurli.
– Alma uscirà solo se accompagnata – tagliò corto Nicolò che non intendeva coinvolgere la moglie nelle vecchie diatribe paterne.
– Se Nicolò non potrà andare con lei usciremo assieme, così non ci saranno chiacchiere e commenti – intervenne la madre, che rivolgendosi ad Alma, in modo che sentisse anche il marito, le disse – La nostra maledizione é che alleviamo figli che poi diventano come tuo suocero. Forse la colpa é nostra, ma credo che oramai nessuno possa modificare questo stato di cose. Credono di essere uomini, di avere coraggio, poi di fronte ad una donna che esprime un suo pensiero non capiscono più niente. In fondo sono dei deboli, ma guai se osi sfidarli! Guai se contravvieni alle regole! Guai se ti innamori! Guai se col tuo uomo dimostri il naturale piacere. Sono contenta che Nicolò sia andato via e che abbia trovato una donna come te. Porta un poco di pazienza, per queste nostre limitazioni, tanto tra breve lascerai questa terra, che sarebbe meravigliosa se fosse nella mani delle donne che la abitano. –
Alma, che non si lasciava coinvolgere da quelle diatribe, sentiva di vivere un’altra dimensione, un periodo veramente felice.
Era una tiepida notte di giugno illuminata dalla luna piena. Alma era salita nella camera da letto, al piano superiore, che la madre di Nicolò aveva messo loro a disposizione.
Dalla porta finestra che si apriva sul balcone arrivavano, con la brezza, i profumi del frutteto in fiore, le fragranze della campagna e delle essenze marine.
Non aveva acceso la luce tale era il chiarore che invadeva la stanza. Si era spogliata completamente ed aveva indossato una camicia di seta appartenuta alla nonna materna. Dove, consunta, il tessuto aveva ceduto, Alma aveva sovrapposto alcuni trafori ricamati che conferivano una seducente trasparenza.
Avviandosi verso il balcone passò di fronte allo specchio del grande armadio e nella penombra si soffermò ad osservarsi.
Notò come nel suo corpo si erano ammorbidite le linee slanciate ed agili di qualche anno prima. Le spalle erette e le braccia piene sostenevano le mammelle disegnate a mo’ di coppe da un morbido pennello. Il torace ben proporzionato ed una vita sottile rimandavano ad un addome un poco prominente, che prolungava armoniosamente le sue curve nei fianchi flessuosi e nelle cosce ben tornite e lisce. Scoprì un sorriso compiaciuto nello scrutare il volto che aveva assunto un’espressione matura di donna.
Lasciò questa personale contemplazione e si affacciò al balcone.
Si udivano le voci che giungevano dal piano inferiore, quella di Nicolò, degli amici che erano venuti a trovarlo, della madre. I toni erano pacati e si percepiva in essi una serenità che da tempo non aveva percepita.
Il chiarore, ai suoi occhi, divenne più chiaro e poté vedere l’orizzonte sul mare. Alma avvertì nell’animo un profondo languore che emergeva dallo sciogliersi degli affanni, remoti e presenti, e che, trascendendo il tempo, metteva a fuoco soltanto quella sera, quel luogo, quei profumi, quel desiderio. Sentì inebriarsi al pensiero dell’uomo. Nicolò sarebbe di lì a poco salito in camera, si sarebbe denudato, avrebbero giaciuto accanto. Questa immagine la fece avvampare ed il respiro divenne più corto. Sentiva un poco d’impaccio per aver violato  il suo stesso pudore.
Voleva quell’uomo ed ardeva per un amore senza limiti. Si rendeva conto di non avere più remore e voleva un eguale discorso.
Quasi per contenere il desiderio parlò a bassa voce – L’amore, il vero amore, é come un fiore notturno che ha bisogno di una notte speciale, per dischiudere tutti i suoi petali. Ed allora la sua fragranza inebriante diffonde completa : si ride, si grida, si piange, si gode, si trova la gioia, e si comprende il senso della felicità. Si é presenti solo a sé stessi. –
Mentre terminava di dire queste parole scorse Nicolò appoggiato allo stipite della porta della stanza – E’ vero quello che hai detto! – disse lui raggiungendola a passi lenti, per osservarla meglio, sul balcone. La strinse a sé poggiando le spalle di lei al suo petto – Anch’io ho spesso sognato una notte così, con te senza remore, lontane le cose, gli affanni, i pensieri. Presenti soltanto a noi stessi. –
Alma quasi trasalì nell’udire quest’ultima frase. Anche Nicolò desiderava la stessa prospettiva. Capì che l’intesa era piena.
Nicolò prese a dire, mentre teneramente abbracciati sul balcone respiravano i colori di quella notte –  Se mi accende il profumo della tua pelle ciò che infuoca i miei sensi é  l’avvertire la cedevolezza dei tuoi muscoli a che io ti penetri e ti assapori come un vino frizzante. E se ti carezzo, se ti frugo, se ti sfioro, il contatto ottenebra tutti i miei pensieri e li fa ardere in un desiderio di incorporarti in me, nella mia stessa carne. –
Le carezze di Nicolò avevano fatto scivolare la camicia da notte di Alma al pavimento e la luna ne illuminava le forme piene dando profondità agli incavi. L’uomo si allontanò da lei per ammirarla, in una visione d’insieme, e nel frattempo anch’egli si spogliò completamente. Poi si riavvicinò, si accostò alle spalle di lei e in un orecchio continuò  a sussurrarle – Voglio respirare il profumo del tuo alito nella mia bocca, voglio soffocare nel tuo respiro, voglio saziare le mie labbra su ogni tua curva, alle mie mani il piacere di una spudorata profanazione dei tuoi incavi più intimi. –
I loro corpi adesi mostravano un unico profilo, i loro movimenti sembravano compiuti da un solo essere. Nicolò continuava a dire – Questo contatto così continuo, sembra disegnato apposta, non resta nessuno spazio tra me e te. Ogni parte del mio corpo trova un posto nel tuo, come se fossimo stati pensati assieme. Non distinguo la mia pelle dalla tua; se ti carezzo mi sembra di toccarmi; se ti stringo, così, la mammella sento una sensazione di pressione sul mio petto. Oh, Alma, mi sei penetrata tanto profondamente che i tuoi umori hanno lo stesso sapore dei miei. –
Alma era una brace accesa ed emanava da ogni punto della sua nudità un calore intenso. Con voce roca disse – Prendimi Nicolò ed affonda il tuo desiderio nelle mie viscere. Non trattenere, non stemperare la tua passione. Liberala per intero. Ogni mia fibra é in tensione ed aspetta la tua dolce violenza. Non volermi pudica, fai emergere anche in me le radici della voluttà. Voglio che mi penetri anche nella testa, voglio che anche i nostri pensieri, le nostre parole facciano l’amore. Congiungi i battiti del tuo cuore ai miei, segui il ritmo del tuo piacere, abbandonati alla sua onda. –
– Alma, Alma, non riesco a contenere questo impeto….. mi travolge….mi sopraffà…. mi svuota….-
– Oh, Nicolò! Nicolò! Mi sembra di morire! E se bastano queste poche parole e qualche carezza  per sentirmi venir meno, cosa debbo temere quando mi stenderai sul letto?-
Nicolò strappò i petali di alcune rose fiorite e li sparse con una carezza su tutto il corpo di Alma.
Al mattino successivo nessuno seppe trovare spiegazione per quei petali sul pavimento.
Rientrarono al nord per riprendere il cammino della loro vita, che quel viaggio al sud aveva tenacemente coeso.
Le condizioni politiche e sociali durante la loro assenza erano andate rapidamente peggiorando. La prevaricazione fascista, condivisa ingenuamente dalla gran parte della gente, che non capiva, non poteva capire le conseguenze di quella scelta, aveva avuto campo libero e chiunque mostrasse il minimo dissenso diventava oggetto di intimidazioni, di violenze, di ritorsioni.
E se per Alma e la famiglia sino ad allora le minaccie non si erano trasformate in atti concreti per la protezione del conte, con la sua partenza qualche settimana dopo il loro rientro dal sud, tutto l’astio accumulato venne a galla con conseguenze nefaste.
Il conte aveva voluto vedere Alma prima di lasciare la sua tenuta.
– Sono costretto a partire, debbo risolvere alcuni problemi all’estero. Vivo questo allontanamento come un abbandono nei tuoi confronti e non me lo so perdonare. So bene cosa ti aspetta e non posso fare nulla per evitartelo. Questa gentaglia di bassa lega non aspettava altro, sarai il loro bersaglio preferito. Sii, siate molto prudenti. Forse non avranno il coraggio di infierire, ma siate pronti al peggio. –
La parole del conte erano mescolate ad una profonda tristezza ed  ad una sorda rabbia. Alma comprese la sua difficoltà e tentò di rassicurarlo – Saprò cavarmela e quando potremo rivederci, ancora una volta potrà compiacersi della fiducia che mi deve accordare adesso, anche se il suo timore, ha una matrice di ben altro spessore. Ci rivedremo presto e sorrideremo di queste nostre paure! –
Nei giorni che seguirono i timori del conte si rivelarono fondati: prima venne saccheggiata la casa in un momento di assenza della famiglia e qualche giorno dopo fu incendiata nottetempo la stalla. Fortunatamente la furia devastatrice di coloro che intendevano vendicarsi, rivalersi, o quant’altro desiderassero di male per Alma ed i suoi, sembrò acquietarsi. L’estate trascorse tranquilla.
Ma in un pomeriggio d’autunno, mentre Nicolò lavorava il campo, alcuni uomini incappucciati lo raggiunsero e lo picchiarono a morte, sotto gli occhi atterriti di Vito che da dietro il fienile aveva assistito impotente alla scena.
Non appena si furono allontanati Vito corse in soccorso del padre che trovò riverso sulla nuda terra e coperto di sangue. Gli sollevò il capo ed, in lacrime, tentò di rianimarlo chiamandolo – Papà, papà, rispondi! Dimmi qualcosa, parla, sù parla! Vado a chiamare qualcuno? –
Nicolò raccolse le sue ultime forze vincendo la sofferenza – No, non andare non c’é fretta. Non essere spaventato per questo sangue, é solo una piccola ferita. Ascoltami e tieni bene in mente quello che ti dirò. Sei ormai grande, sei quasi un uomo e come tale ti devi comportare. Se dovessi morire devi pensare tu alla mamma, la responsabilità sarà tua, le dovrai stare vicino. Eppoi dovrai seguire i tuoi fratelli più piccoli… Prenderai il mio posto… –
Nicolò sentiva la vita fluire fuori di sé col sangue e nella sua mente i pensieri e le parole faticavano a trovare le reciproche relazioni. Il respiro era più superficiale ed incominciava a non avere la forza di rendere sonora la voce che era diventata flebile – Ed ora ascolta con attenzione queste mie parole che ripeterai a tua madre così come io te le dirò. –
Fece una pausa per prendere un ultimo fiato – Le dirai che é stata la mia gioia, che ha illuminato i miei giorni, che l’averla accanto mi ha reso felice. Dille ancora che l’ho amata, amata perdutamente! Diglielo, e non scordare nessuna delle mie parole! –
Le indagini che seguirono vennnero ben presto archiviate poiché da subito furono escluse le ipotesi più probabili. Peraltro nessuno aveva visto, nessuno aveva sospetti, non affiorava un chiaro movente, la testimonianza di Vito non era stata ritenuta affidabile. Niente di niente. E se qualcuno sapeva la paura di rappresaglie lo convinceva a tacere. Il clima di intimidazione culminato con la morte di Nicolò aveva indotto molti ad evitare ogni connessione possibile con Alma e la sua vita. Al funerale, celebrato in un’ora, le due del pomeriggio, perlomeno inusuale, Alma si ritrovò sola con i suoi figli. Mentre seguivano il feretro diretti al cimitero, la gente guardava da dietro le finestre, spiando da dietro le persiane. L’intero paese era stretto in una morsa di paura e nessuno aveva il coraggio di esporsi.
– E poi per chi e che cosa? – si domandava qualcuno – A ognuno le proprie rogne, che ce n’é già a sufficenza. Ciascuno deve imparare a difendersi da solo. Nessuno ti aiuta! –
Alma si ritrovò abbandonata da tutti. Le venne a mancare anche il lavoro poiché il fiduciario del conte la pregò di evitare di farsi vedere per qualche tempo, sino a che le acque non si fossero calmate. Era senza sostegno alcuno. Pensò di vendere la casa e di andare via, ma capì che nessuno l’avrebbe comprata. E comprese anche che il fuggire non avrebbe risolto i suoi problemi. Ricordò le parole di Nicolò e le ripeté a bassa voce – Chi fugge porta con sé il problema e non fa nulla per tentare di risolverlo. Meglio sarebbe restare ed affrontarlo subito. –
Così decise di restare, di non cedere al ricatto, all’intimidazione, alle possibili ulteriori violenze, anche se non sapeva bene come avrebbe trovato una soluzione. E non temeva tanto per sé quanto per i suoi figli, in specie per Vito, che era stato testimone del misfatto. E proprio in quei giorni Vito incominciava la scuola. Vi si recava da solo, poiché Alma doveva accudire ai due fratellini, alla casa, e doveva industriarsi per racimolare quattro soldi per sopravvivere. Portava una fascia nera al braccio in segno di lutto per la morte del padre. Quando la maestra assegnò in classe i posti a lui toccò l’ultimo banco – Per provare la tua pazienza – l’ignara, che veniva da una cittadina lontana, gli disse – Perché é necessario imparare a sopportare i soprusi, le angherie, a vincere il desiderio di vendetta. –
Vito si distingueva da tutti per il suo modo di stare tra i suoi compagni e di dialogare con loro. Era moderato nei gesti, sempre composti. Aveva un tono di voce sicuro e pacato. Nel discorrere non si alterava anche quando qualcuno lo stuzzicava. Chiamato da qualcuno interloquiva con lui solo dopo essergli giunto dappresso. Eppoi imparava in fretta, tanto in fretta da suscitare l’invidia di chi non aveva i suoi numeri. Ma di questo non se ne faceva un vanto ed era sempre pronto ad aiutare chi glielo chiedeva. Sembrava più grande dei suoi pochi anni, ma forse nel cuore lo era.
A Vito piaceva la scuola e vi andava volentieri. Aveva buoni rapporti con i suoi compagni di classe, e la maestra cominciava ad apprezzare le sue qualità. Ma alcuni più grandi lo avevano preso di mira e se per qualche tempo si erano limitati a estemporanee prese in giro, poco prima delle vacanza di Natale, vollero fargli uno scherzo. All’uscita di scuola, inscenarono una rappresentazione che vedeva come protagonisti un emigrato ed una donna del posto. I due si accapigliavano sulla paternità di un piccolo cane trovato per strada, ed il riferimento era palese. Solo l’intervento di alcuni passanti che avevano assistito alla scena evitò che l’episodio degenerasse in una rissa estesa. Ma Vito non volle togliersi la soddisfazione di picchiare, ma fu un tentativo mal riuscito, uno dei ragazzetti che avevano ordito lo scherzo.
Tornò a casa pesto e pieno di escoriazioni, ma esultante, felice e compiaciuto per il suo coraggio e per aver difeso l’onore dei suoi affetti.
Raccontò ad Alma l’accaduto e poi aggiunse – Hanno avuto il fatto loro quegli sciocchi. Dovessero riprovarci ne prenderebbero delle altre. –
Alma finse preoccupazione, e raccomandò prudenza al figlio mentre lo medicava – Tu devi stare attento ed evitare queste situazioni. Sei ancora piccolo e potrebbero farti del male. –
– Piccolo io? – domandò sconcertato Vito – Ma se ormai guardo dritto negli occhi le mucche! –
– Quando brucano l’erba ed hanno la testa bassa! – aggiunse seria Alma, nascondendo il sorriso acceso da  tanta spontaneità e da quell’ardore infantile.
Le difficoltà della famiglia erano ben presenti nella mente di Vito, che, tutti i giorni, dopo la scuola aiutava la madre nelle faccende domestiche, nella coltivazione del campo, che erano riusciti a seminare con un poco di grano ricevuto in prestito, e nell’accudire con sommo affetto ai fratellini. Ma tutto questo non bastava. Alma non trovava lavoro e non si potevano attendere i frutti della terra.
Vito decise di trovare un lavoro e chiese alla madre di aiutarlo. Alma, a malincuore, dopo tante insistenze, gli scrisse un biglietto per Guido, non sapendo a chi altro indirizzarlo. Il giorno seguente Vito marinò la scuola e si presentò all’uomo.
Guido lo ricevette nel suo ufficio di gerarca fascista.
Vito gli si pose difronte col collo teso ed il mento alto sopra la linea delle spalle e lo guardava profondo negli occhi. – Tua madre la ricordo bene. E’ sempre stata una testa calda – disse l’uomo – sempre pronta a far casino. Almeno lo avesse fatto per sé. No! Lei lo faceva per gli altri! –
Rigirava tra le mani quel piccolo foglio di carta sul quale Alma aveva appuntato poche righe, una specie di raccomandazione. Guido capì che aveva faticato a scriverle. Non erano le sue solite parole. Era evidente che in realtà avrebbe evitato volentieri di farlo.
Il ragazzo, immobile, guardava l’uomo. Intuiva una sorta di imbarazzo in lui. Avvertiva che non gli voleva negare il suo aiuto, ma era palese in lui una punta di astio che aveva covato per tanto tempo ed ancora non si era stemperata.
L’uomo prese a camminare e finì per girare intorno al ragazzo. Lo osservò a lungo di spalle. Il ragazzo portava un vecchio paio di scarpe, abbastanza più grandi del suo piede. Aveva trovato un temporaneo compromesso tra la suola e la tomaia che aveva unito con numerosi giri di rafia accuratamente e sapientemente disposti a prendere il tallone, la pianta e la punta. Le ossute gambe oltre il ginocchio, a mezza coscia, sparivano un un largo calzone che, a giudicare dai colori, lasciava intuire la sua origine multipla. Da due vecchi pantaloni, eliminando il lato più consunto e cucendoli nel mezzo, al cavallo, si era ottenuto un terzo paio, in cui il lato destro era di colore verde chiaro ed il sinistro era decisamente verde scuro. Una candida camicia sbuffava dalla cintola. Era stata inamidata e stirata con cura e sembrava più giovane della sua età. Non aveva collo, e ciò permetteva di apprezzare il fiero portamento del capo del ragazzo, ricoperto di morbidi riccioli neri.
– Un lavoro. Ti dovrei dare un lavoro? – riprese a dire l’uomo con aria  perplessa – potrei utilizzarti per la consegna del latte nei dintorni. Potrebbe essere. La paga é di cinque centesimi alla settimana, non uno di più. Cominci domani alle quattro del mattino in punto. Non dici nulla? Come tua madre. Stai in silenzio come lei. Ti sembrano troppo poco cinque centesimi?-
L’uomo parlava con i suoi pensieri – Te ne darò sei, ma non devi saltare nessuna consegna. Dillo a tua madre che te ne volevo dare cinque. Domani dal fattore. Alle quattro. –
Il ragazzo allora allungò la mano verso l’uomo e si fece restituire il biglietto che ripose con cura in una vecchia busta ingiallita che aveva all’uopo lavata ed asciugata poiché gli era sembrato più opportuno portare il messaggio in una busta. Indietreggiò di un passo poi si volse ed infilò la porta.
Aveva un lavoro, pensò, come un grande, e sentiva di poter assumere quella responsabilità che il padre gli aveva assegnata poco prima di morire. Si sentiva in grado di prenderne il posto.
Avrebbe fatto le consegne in tempo per poter poi andare a scuola.
Fu per Vito quello un periodo di intensa fatica. All’alba cominciava il lavoro, poi la scuola, poi accudiva i fratellini,  aiutava nella coltivazione del campo la madre, ed infine lo studio, la notte, a lume di candela. Qualche volta Alma lo raggiungeva e ne seguiva silenziosamente l’opera. A Vito piaceva molto che la madre gli stesse accanto. Pur avendo il desiderio di parlarle, di raccontarle tante cose, si accontentava, e per lui non era poco, di quella vicinanza, di quel calore. Talora capitava che Alma andasse a dormire prima di lui ed allora quando stava per lasciarlo gli carezzava i capelli, glieli arruffava, gli scuoteva dolcemente la testa.
Quella sera si comportò allo stesso modo e lo lasciò dicendogli – Non fare tardi, devi dormire! Domani altrimenti ondeggerai come una canna nel canale quando c’é vento. Qualche volta mi sembri un ubriaco, ed invece sei solo stanco. –
Nelle parole e nei gesti della madre Vito percepì quella malinconia e quella tristezza che da tempo contraddistingueva ogni sua azione. Vito avvertiva che il vuoto lasciato dal padre nel cuore della madre era incolmabile ed il suo prodigarsi per lenire questo dolore non sortiva gli effetti desiderati.
– Ho quasi finito, tra poco andrò a letto – rispose lui seguendola con lo sguardo mentre saliva le scale.
La figura agile e snella di Alma, non modificata nelle forme, si era appesantita nei movimenti e pareva che le giunture fossero divenute ferraginose. Il passo elegante e rapido era stato sostituito da un’andatura lenta e trascinata, il dorso si era un poco incurvato, qualche ruga era comparsa sul viso. Vito aveva notato tutto ciò e avrebbe voluto essere in grado di far cambiare quello stile di vita alla madre, ma si rendeva conto che troppo lontana era lei da lui per poterlo sentire, per prendere in considerazione le sue istanze.
In effetti Alma viveva quel periodo con la testa fra le nuvole. Era stato il suo modo di rifiutare la morte di Nicolò, di prendere le distanze dalle difficoltà di ogni giorno, di allontanarsi dalla realtà.
Vito decise che le avrebbe parlato quella notte e salì nella camera della madre. Vi entrò piano, al buio, e chiamò sottovoce – Mamma, mamma, sei ancora sveglia? Sono Vito. Volevo dirti…- ma Alma era già addormentata e Vito lo scoprì avvicinandosi al letto. L’oscurità non riusciva a vincere il chiarore della pelle del viso della madre appoggiato al cuscino tra i capelli castani e mossi. Vito si fermò ad ammirare tanta bellezza che nel sonno trovava una maggiore espressione. Poi timidamente allungò la mano e con molta delicatezza le fece una carezza. Le rimboccò il candido lenzuolo e uscì dalla stanza. Avrebbero affrontato l’argomento il giorno seguente.
Il tempo lenisce le ferite, stempera il dolore, ripropone nuove scintille, fa riaffiorare nuove curiosità. Ed anche per Alma ed i suoi figli lo scorrere delle stagioni produsse quei benefici effetti. Il ritorno del conte coincise con la possibilità per Alma di riprendere il vecchio lavoro e ciò la restituì alla vita. Il partito del fascio, dopo l’efferato delitto, volle dimenticarla, spinto a ciò anche dalle pressioni di Guido che non sapeva perdonarsi di non essere intervenuto per evitare il peggio.
Col conte si rincontrarono nello stesso salone dove si erano conosciuti – Ho saputo quello che é successo l’anno scorso a tuo marito. So anche come te la sei cavata. Sono stato male pensandoti in mezzo a questa gente che non ti merita. –
– Lei mi sopravvaluta, da sempre. Eppure non credo di aver fatto nulla di eccezionale, salvo il mio dovere. –
– Già questo é fuori dalla norma poiché quasi tutti nel lavoro fanno il minimo indispensabile e senza nessun entusiasmo. Ma non é per questo motivo che ti stimo. La verità é che sei una donna diversa, per quello che pensi, per come affronti la vita, per ciò che dai di te agli altri. Non ti ho mai sentita lamentare, né vantarti, né parlar male di qualcuno. Tutti noi abbiamo bisogno di riferimenti come te. –
Anche nel paese la gente ricominciò a dimostrare una timida apertura, il primo passo di un avvicinamento.
All’inizio si trattò di un saluto scambiato nell’incontrarsi, poi di qualche chiacchera sul tempo. Un giorno uno dei vicini bussò a casa di Alma portandole un pollo appena spennato, in regalo – Signora Alma, lei mi deve scusare se la disturbo – disse l’uomo intimidito  – abbiamo ammazzato tutti i polli ed allora, mia moglie, io, abbiamo pensato che le avrebbe fatto piacere… Sono allevati solo col granturco, sa. Non mangiano altro. Se gradisce, ne saremmo lieti. –
Alma era stupita ed intenerita assieme. Proprio quell’uomo, basso, magro, senza capelli, le era stato ostile oltre ogni dire. Non v’era stata volta, da ragazzina, che passando davanti alla sua casa non la avesse coperta di improperi. E da grande l’aveva ogni volta guardata con disprezzo. Ma il tempo cambia le cose e la gente. – Non doveva disturbarsi – rispose Alma che aveva sempre applicato la regola di parlare dell’unico pregio di una persona piuttosto che dei suoi cento difetti – ho piacere di questo gentile pensiero. Prego si accomodi, le preparo un caffé. Se mi permette vorrei farle una domanda. –
Fece entrare in cucina l’uomo, che era visibilmente imbarazzato poiché temeva di dover rispondere dei tanti sgrabi e soprusi, lo fece accomodare ed incominciò a predisporre l’invito.
– Mi deve togliere una curiosità – domandò Alma – ma come ha fatto a far crescere così rigoglioso quel rosaio che ha dietro il fienile. E’ veramente uno splendore. Glielo ho sempre ammirato! –
– Mah, anch’io non so bene perché sia cresciuto così. E’ vero l’ho concimato almeno tre volte ogni anno, eppoi lo potavo, eh, sì, lo potavo tantissimo- e mentre parlava l’uomo comprese, e cambiò tono e discorso – Abbiamo tutti sbagliato con lei signora Alma. Lo dicevamo anche al bar l’altra sera. Abbiamo creduto che non fosse una di noi ed invece! Lei é più di una di noi. Anche il prete, verrà a trovarla. Anche lui si vuole scusare! Siamo ignoranti, e non facciamo nulla per uscire da questo piccolo mondo, ci rifiutiamo di pensare con la nostra testa e ciò ci fa stupidi e succubi di chiunque sia più pronto, più furbo. Per capire una come lei ci vuole tempo, non é facile, é tutto il contrario di come sembra e noi stupidi badiamo solo a quello che si vede. Ma adesso le tolgo il disturbo, ci venga a trovare uno di questi giorni, venga! –
La vita per Alma incominciò a scorrere più serena, in qualche momento anche lieta. Nel lavoro godeva di un indiscusso prestigio guadagnato coi propri meriti. Aveva ripreso i contatti con Ermanno. Aveva organizzato alcuni incontri, era riuscita ad estendere le condizioni di lavoro che aveva ottenuto per coloro che lavoravano con lei in molti i paesi vicini.  Era diventata un punto di riferimento per i lavoratori, ma anche altri andavano a trovarla per avere un consiglio, un suo parere.
Una giovane donna, di nome Simona si presentò e chiese di essere ascoltata. Alma trapiantava il basilico in tanti piccoli vasi ed allungandone uno a Simona perché anche lei effettuasse la stessa operazione, le disse – Piantare e nutrire la vita non é mai un errore. Dimmi ti ascolto. –
– Non so se la tua sia solo intelligenza, come dicono, oppure tutta la sofferenza che hai patito ti ha reso particolarmente intuitiva. Ma mi hai già dato le risposte che cercavo – sottolineò la giovane donna. Alma le sorrise – Non v’é persona che non viva le difficoltà legate alla paura di affrontare cambiamenti, spesso radicali. E sono momenti di dubbio, di crisi, di incertezza. I criteri di decisione usuali non servono più e non si sa da che parte andare. Tu ti trovi adesso in questa situazione. Il mio consiglio é che tu scelga la vita. Non é facile, ma non ti dovrai mai pentire di questa decisione. Te lo dico anche in un altro modo. Scegli di fare ciò che ti sembra più difficile, quello che ti comporta uno sforzo maggiore, ciò che non ti é comodo. La soluzione che vorresti evitare. Non sbaglierai. –
Continuarono entrambe a trapiantare il basilico, in silenzio, poiché ogni discorso si era completato.
All’improvviso Alma perse l’equilibrio, si appoggiò pesantemente al tavolo sul quale erano allineati i vasi di basilico ed vi si accasciò. Simona tentò di soccorrerla, la mise distesa sul pavimento ed andò a chiamare qualcuno per darle una mano. Arrivarono alcuni contadini lasciando il lavoro nei campi. L’adagiarono su un divano e cercarono di farla riprendere dandole da bere un poco di cordiale. Dopo qualche minuto Alma rinvenne ed ancora stordita fu accompagnata dal dottore in paese.
Nel suo ambulatorio il medico dopo averla visitata le chiese – Da quanto tempo hai queste emorragie? Perché non ti sei rivolta a me appena te ne sei accorta? –
– Non credevo non fosse niente di importante. Non volevo disturbarla. Sono tanto convinta che nulla mi può nuocere che non ho pensato ad una malattia. Non credo che si tratti di una malattia grave, penso di essere inattaccabile – rispose Alma al medico che la osservava perplesso.
– Vorrei che tu avessi ragione, ma io non posso usare questo tuo criterio. Sarà bene che intanto per qualche giorno ti riposi. La prossima settimana vorrò farti visitare da un collega che lavora in ospedale, in città. Penserò io a fissare le modalità dell’incontro. –
– E se non volessi sottopormi a questa ulteriore visita? Se decidessimo di far fare alla natura?- propose Alma.
– Hai sempre scelto senza vincoli, non vedo come potrei condizionarti. Il medico consiglia, non obbliga. Prendi queste cialde nei prossimi giorni e fammi sapere cosa hai deciso. Sappi che farò in modo da costringerti a curarti. Non ti meravigli questo mio interesse, anche io debbo sdebitarmi nei tuoi confronti. Ed un giorno ti vorrò raccontare il perché. Mi auguro di rivederti al più presto, per il tuo bene – chiuse il dialogo il dottore.
Alma si congedò ben sapendo che avrebbe disatteso i suggerimenti del medico, ma lo ringraziò con gratitudine, lieta che anche lui avesse cambiato parere. Era curiosa però di conoscere il motivo per il quale era in credito nei confronti del dottore.
Per qualche giorno Alma si sentì meglio, per effetto del riposo che si era concessa, ma appena ebbe a riprendere il lavoro tutti i sintomi del suo male riaffiorarono. Era sempre più pallida, le veniva il fiatone per ogni pur minimo sforzo, parlava a bassa voce per risparmiare energie. Appariva sempre più affaticata e le sue compagne di lavoro, preoccupate, ne parlarono col conte che Alma aveva tenuto all’oscuro di tutto.
Venuto a conoscenza dei fatti lui la costrinse, in accordo col dottore, ad un  ricovero presso un ospedale che egli stesso aveva scelto, per gli  accertamenti e le conseguenti cure.
Vito, al quale era stato detto che la madre doveva allontanarsi dal paese per motivi di lavoro, e gli altri due fratellini, vennero affidati alle cure di una giovane donna, di nome Emma, che andò a vivere con loro durante l’assenza di Alma.
Quando Alma tornò dall’ospedale stava un poco meglio ed insistette per riprendere subito il suo lavoro. La sosteneva una ferrea volontà, ma la stanchezza che si accumulava durante il giorno la faceva arrivare alla sera senza più un filo di energia. Quando rientrava a casa riusciva a mala pena a cenare e poi crollava, quasi addormentandosi sul tavolo.
Vito, che aveva intuito ciò che stava accadendo, e che viveva con apprensione l’evolversi degli eventi, decise di trovare una conferma ai suoi sospetti. Non poteva sopportare, lui così coinvolto emotivamente, quell’incertezza.
Si recò dal dottore del paese e fece la fila per essere ricevuto – Mi ha mandato la mamma – disse disinvolto – Mi ha detto di chiederle, visto che non le passano, se può darle una medicina più forte per i dolori alla pancia. Non riesce a dormire. –
Vito mentiva tanto bene che il dottore gli credette e gli consegnò una prescrizione da portare in farmacia. Quando uscì Vito lasciò l’uscio dello studio socchiuso e stette in ascolto – Non credevo che si aggravasse tanto rapidamente – disse alla levatrice che l’assisteva nelle visite il dottore – se é così vuol dire che le restano solo pochi mesi di vita. –
Nel sentire quelle parole a Vito sembrò che il cuore dovesse scoppiargli. Si sentiva avvampare, le tempie gli battevano violentemente, ed un nodo stretto alla gola gli impediva di respirare. Con notevole sforzo soppresse le lacrime che stavano per sgorgare dagli occhi, incontenibili, soffocò le grida di dolore e controllò il passo. Aveva voglia di correre, di fuggire, di nascondersi. A passi misurati lasciò l’ambulatorio ed uscì per strada dove un vento freddo lenì il bruciore delle guance ed asciugò gli occhi.
Fece un lungo giro per le campagne prima di tornare a casa. Ragionando con la disperazione nel cuore aveva capito che doveva tenere per sé la triste notizia e non poteva nemmeno far capire alla madre che lui sapeva.
Decise che sarebbe stato più premuroso, si sarebbe impegnato maggiormente nello studio, avrebbe lavorato senza sosta, avrebbe evitato alla madre ogni fatica, avrebbe cercato di starle vicina ogni momento possibile – Ogni momento, ogni momento – si ripeté a voce bassa.
Il desiderio di lei emerse in tutta la sua imponenza e travolse l’animo di quel fanciullo che era stato costretto a crescere prima del tempo, che ragionava già come adulto, al quale era mancata una gioiosa infanzia. Ma tutto questo non gli era mai importato, gli  era bastata la presenza della madre. Ripeté le parole che il padre gli aveva affidate – ” Dille che il viverle accanto mi ha reso felice”.
Vito aveva condiviso e ne era convinto. Ma ora! Tutta la vita trascorsa insieme, tutti i ricordi della sua vita con la madre, parevano briciole di un pane che non gli sarebbe mancato. Pensava a come moltiplicare il tempo restante, ma non trovava una soluzione.
Come qualche volta accade, la malattia di Alma concesse una tregua che le permise di recuperare le forze, di riprendere in parte il lavoro, di rioccuparsi della casa e dei figli. E qualche momento di serenità e di gioia riapperve nella vita della famiglia. Il periodo precedente sembrava solo un brutto sogno da dimenticare e l’invito per la festa che segnava la fine della vendemmia fu accolto con entusiamo da Vito. Sarebbe stata una scampagnata tutta per loro, una giornata da passare tutti insieme.
Così la domenica della festa Vito si levò di buonora, aiutò Emma, che era rimasta con loro anche dopo il rientro di Alma dall’ospedale, a riordinare, poi portò alla madre, nella sua camera, un bicchiere di latte caldo e due biscotti che aveva comprato la mattina precedente.
– Oggi staremo tutto il giorno assieme, non dovremo separarci per andare a lavorare – disse Vito alla madre che beveva il latte.
– Sì, sarà una giornata felice, con te, con i tuoi fratelli, tra questa gente che incomincia a volerci bene – gli rispose di rimando Alma.
Quando giunsero nella grande aia della cascina dove si svolgeva la festa furono accolti con molto calore. A loro era stato riservato un posto d’onore, nel tavolo al centro, accanto a quelli che contavano. Ma ciò che li soprese fu il fatto che tutti si premuravano di andarli a salutare, di informarsi sulle condizioni di salute di Alma. Molti fecero complimenti a Vito ed ai fratelli. Durante il pranzo uno dei proprietari, tra i più abbienti, si alzò e disse, con un bicchiere di vino in mano tenuto alto mentre girava lo sguardo sui commensali ad attirarne l’attenzione e chiedendone il silenzio – Intendo brindare in onore di Alma. Ed é un brindisi speciale, come lei. Vuol significare le nostre scuse, vuol testimoniare la stima che merita, intende essere il segno dell’affetto che ha saputo conquistare e che le dobbiamo. E’ un onore averla oggi qui tra noi signora Alma. A nome di tutti le auguro tanta fortuna e tutte le gioie che desidera! –
Tutti bevvero festanti. Volle intervenire un altro convitato – Non sarò altrettanto bravo con le parole. Voglio però dire che tutti noi se qualche volta non l’abbiamo capita, tante altre volte non l’abbiamo voluto fare. C’era anche chi ne parlava male senza nessun motivo, solo perché lo vedeva fare ad altri. –
– Sì é vero, tutto questo non ce lo vorremmo rimproverare, ma ora non é il caso di rivangare queste cose. Dobbiamo essere contenti di poter rimediare ed ora facciamo dire qualcosa ad Alma. –
Aveva parlato il parroco che con Alma non era stato certo tenero. Alma era riluttante, ma le voci di incitamento la convinsero. Nel suo pallore, con un filo di sorriso, morbida nei suoi gesti e suadente nella voce, appariva ancora più bella – Nessuno ha colpa delle incomprensioni, la responsabilità é un po’ di tutti, anche mia. Se avessi ascoltato di più chi mi consigliava saggiamente, forse non si sarebbe creato quel triste fossato. Ma oggi dobbiamo essere felici, anche se  non possiamo dimenticare che il mondo non é solo questo frammento di terra  e che molti soffrono una condizione simile alla mia solo per voler affermare i propri principi e le proprie idee. Brindiamo alla felicità per ciascuno di voi. –
Prima di bere volle far tintinnare il suo bicchiere con quello di Vito che le era seduto difronte. Gli sorrise e bevvero guardandosi negli occhi. Più tardi Alma lo prese per mano e si allontanarono verso i vigneti. Camminavano senza parlare, entrambi respiravano quella fresca aria come se inalassero un profumo. Alma si sedette su un basso muro di un ponticello, prese Vito per le spalle, lo fissò tereramente – Ci saranno tanti altri giorni così. Ne sono sicura. Torneremo ad essere felici. Sarà così. Tu lo vuoi vero? – Vito abbassò gli occhi, non aveva il coraggio di sostenere lo sguardo della madre, temeva che lei vi leggesse la sua tremenda angoscia – Saremo ancora felici, sì mamma. Ed avremo tanto tempo per parlare, per stare insieme, andremo anche in città, una volta! –
Vito si rese conto che non era poi così difficile dissimulare i sentimenti. Pensò a come la fantasia lo aiutava costruendo una realtà fittizia nella quale poteva vivere le situazioni difficili. Stavano per continuare il discorso quando furono interrotti da un gruppo di paesani che chiamavano Alma per dare inizio alla spremitura delle uve.
Qualche tempo dopo, in uno dei tanti giorni brumosi della fine di ottobre, Alma chiese di poter incontrare il conte che fu ben lieto incontrarla – Come stai oggi? Un po’ meglio? – domandò lui sinceramente preoccupato – Non male, mi é stata concessa una tregua, almeno così mi sembra – rispose Alma – ma il motivo per cui ho voluto vederla non é il mio stato di salute. Ho bisogno di chiederle un favore, debbo, sottolineo debbo, strapparle una promessa. –
– Dimmi Alma, tu sai che con me non devi avere remore. Tutto ciò che é nelle mie possibilità sarà fatto. –
– Penso ai miei figli, ma soprattutto a Vito. E’ il più grande, quello che ha sofferto di più. Ha visto il padre morire, sa che tra breve anch’io…-
– Ma cosa dici Alma, non voglio sentirti dire queste cose! –
– Occorre guardare in faccia la realtà, ma comunque é di Vito che le voglio parlare. E’ intelligente, e per questo molto sensibile; si é caricato sulle spalle responsabilità non sue, improprie per la sua età; lavora e studia senza un attimo di pausa, non si lamenta mai. Ha tutti i pregi del padre e qualcuno anche mio. Io vorrei per lui un futuro lontano da queste fatiche. Lo immagino istruito, colto, raffinato, simile a lei conte per questi aspetti. Ma non si offenda se le dico che lui sarà migliore, perché, io credo, saprà e vorrà vivere per gli altri. Non l’ho mai visto pensare per sé una volta ed é stato capace di limitare anche il suo naturale desiderio d’amore  materno, quell’amore che io ho radicato e provo visceralmente per lui, ma che gli ho poco dimostrato.  Mi permetta di affidarglielo sicura che non lo abbandonerà. –
Il conte era commosso, travolto dai sentimenti di Alma – Mi occuperò di Vito come se fosse un mio figlio, stanne certa. Se il suo avvenire é così luminoso come tu lo descrivi sarò fiero di avervi contributo. E come ci dicemmo altre volte, mi compiacerò di avergli dato la mia fiducia. –
Il colloquio era terminato e si lasciarono con una profonda tristezza nel cuore. Quello sarebbe potuto essere l’ultimo incontro.
L’inverno aveva disegnato una notte fredda e senza luce, tanto buia da vedere il firmamento interamente coperto di stelle.
Nella casa Alma finiva di rassettare. Vito aveva appena messo a letto i fratelli e come consuetudine aveva letto loro una breve favola. Gli veniva bene quel genere di lettura, forse perché credeva, ma questo lo sapeva lui solo, alle storie che raccontava. Si sedettero l’uno di fronte all’altro divisi dal vecchio tavolo di rovere, lungo e stretto. Li separava lo spazio di un alito. Una candela diffondeva una luce tremula ma calda. Muti si guardavano.
Alma prese tra le sue le mani di Vito e lo trasse un poco a sé. Il pallore delle mani della donna contrastava col rosa acceso di quelle del ragazzo.
Con lo sguardo Alma percorse ogni linea che delimitava la figura del figlio, i capelli ricci e neri, gli occhi dolci e scuri, le morbide forme del viso ancora femminee, il collo slanciato ben piantato tra le spalle che avevano già conosciuto la fatica.
Anche Vito osservava la madre.
I capelli castani, un poco mossi, conservavano tutta la lucentezza, gli occhi profondi con quel marrone venato di miele esprimevano una infinita dolcezza, la pelle chiarissima conferiva una luce diafana al volto intero. Le braccia, il petto scoperto tra le vesti, le mani : Vito sentiva che tutto ciò gli apparteneva. Gli sembrò per un attimo che la madre fosse cosa non separata da sé ed avvertì che anche lei aveva fatto lo  stesso pensiero.
– Noi non abbiamo mai fatto lunghi discorsi – gli strinse le mani Alma
– eppure quante cose avrei voluto dirti! E quante ne avrei voluto sentirne da te! Ma ho sempre pensato che non ci servivano. Mi bastava guardarti negli occhi ed ero certa che tu avevi capito. Sei come tuo padre. Anche con lui non avevo bisogno di dire nulla. Quando ci siamo conosciuti, ed io sono andata a stare con lui, per tanto tempo non abbiamo scambiato una parola. Ci guardavamo negli occhi e tanto bastava. Ma con te avrei voluto, avrei dovuto parlare di più.- Riprese fiato un poco affaticata. – Quando eri piccolo, in fascie, io non ti vezzeggiavo come fanno le altre madri. Ti guardavo intimorita e mi sembrava che tu rispondessi di non preoccuparmi. Quando iniziasti a dire la prime parole e per la prima volta mi chiamasti mamma, dalla gioia avrei voluto soffocarti di baci, ma non mi riuscì che di farti una carezza. Una sola. –
Alma sentiva che la commozione stava per sopraffarla e lasciò che il fiume limaccioso delle sue emozioni straripasse. Lo aveva sempre desiderato. Con la voce che diveniva roca, continuò. – A te, che ho vissuto come una parte di me stessa, non ho mai detto una parola affettuosa, ma ogni volta che ti chiamavo “figlio mio” mi sentivo travolgere da una irrefrenabile emozione. Tu, figlio mio, così tanto amato! –
Le lacrime sgorgavano senza freno e rigavano il volto di Alma. – Ti ricordi quando ricevemmo la visita del signor Guido e il dialogo sfociò in un alterco? Tu avevi timore che potesse farmi del male e ti frapponesti tra lui e me! Ti ricordi? Eri tanto piccolo che non avresti potuto nuocere una mosca, eppure quell’uomo ne ebbe una tale impressione! Tu mettevi a repentaglio la tua incolumità ed io, quando l’uomo fu andato via, non seppi dirti  altro che mettere a posto le cianfrusaglie che dicevi essere i tuoi giochi. Quali giochi poi! Tuo padre ti aveva costruito un piccolo carretto e tu lo usavi per aiutarlo a portare il concime nel campo! –
Portò una mano sul capo di Vito, sempre tenendo con l’altra le mani di lui, ed infilò le dita tra i ricci dei suoi capelli – Mio dolce figlio. –
Lo carezzò in volto, sfiorandogli le labbra con l’indice, e premendole nell’accorgersi che Vito voleva parlare. – Sono io che ti voglio parlare. Debbo dirti ancora molte cose.  Ascoltami! Tu devi sapere del grande amore per te che ho cresciuto a dismisura nel mio cuore. E ho bisogno, ora, di farlo emergere, di farlo traboccare, perché non muoia con me. No, no, non fare finta, tu lo sai da tempo. Sei troppo intelligente per non averlo capito. Ma del mio amore non potevi sapere. Lo desideravi, te ne saresti voluto saziare, ma non tentavi neanche di avvicinarti. E come potevi, tale era il timore di trovare un vuoto al suo posto. Ed io! Così perspicace! Mi rendevo conto della tua insicurezza, ma nulla ho fatto per ridurre l’enorme distanza. E quanto hai sofferto per questo! Tu adesso sai, dovevo dirtelo e, se puoi, perdonami. Incidi ora nel cuore le sole tre cose che voglio lasciarti. La prima é che ti ho amato più d’ogni altro. Né sarebbe stato possibile diversamente poiché l’amore per un figlio é amore per se stessi. La seconda é che ho tentato di dare alla mia vita un senso compiuto, nei gesti, nei fatti, ma solo oggi mi accorgo che il senso compiuto sei tu, il mio vero futuro nelle sembianze di un piccolo uomo. La terza infine é che solo negli occhi, nell’animo, nel cuore della gente devi cercare e troverai il motivo del tuo vivere. Non scordare mai queste parole che sono il frutto della mia esistenza. E non dimenticarti tanto presto di me! –
Alma si coprì il volto con le mani a trattenere i singulti che il pianto le provocava. Poi si riprese e disse al figlio – Vorrei che fossi tu, ora, a parlare. Ma ti prego dimmi solo le parole che ti vengono dal cuore, sono le uniche che contano, eppoi non abbiamo molto tempo. –
Vito guardava la madre immoto come chi sulla riva osserva il mare dopo la tempesta e sa che deve lasciarlo per partire lontano. – Avrò sempre nel cuore i tuoi occhi, il tuo viso, le tue mani, e queste parole. Avremmo dovuto parlare allora, ma l’abbiamo fatto per intero oggi. Tutto ciò che non ci siamo detti non serviva, lo sapevamo entrambi. Oh, mamma, abbracciami, tienimi stretto soltanto per poco, poi salirò a dormire. –
Alma strinse a sé il figlio, lo coprì di baci, poi lo staccò dal suo corpo, gli aggiustò le vesti e lo avviò alle scale con un sofferente sorriso. Vito le salì lentamente, fece per fermarsi agli ultimi gradini come volesse tornare indietro, poi proseguì.
E le stelle brillarono più vive, quella notte.
La densa nube di polveri provocata dall’esplosione lentamente si dissolse e ricomparvero i resti della cascina rasa al suolo. Dall’alto della collina Vito, con il volto segnato dalla commozione non  trattenuta, osservava il cantiere di lavoro che aveva ripreso a brulicare di gente.
D’un tratto venendo dalle sue spalle si accostò a Vito un giovane. Era l’ingegnere che coordinava i lavori e voleva capire il perché di quella presenza così vicina al cantiere, in una posizione alquanto pericolosa.
Affiancandosi a Vito, con meraviglia in quell’uomo riconosce lo zio.
Stupito, con voce bassa, quasi a non disturbare  – Come mai qui zio Vito, a quest’ora? –
Vito, ancora in preda all’emozione non si rende conto della presenza del giovane, che insiste – Perché qui, come mai qui, zio? –
Come ritornando alla realtà dopo un lungo viaggio Vito sorrise al giovane nipote, che riconobbe – Tu non puoi sapere – gli disse con affetto – ma nella casa che avete appena fatto saltare in aria era quella di mia madre e lì io ho vissuto la parte più bella, più significativa della mia infanzia. Sono venuto perché non ne potevo fare a meno. Per ricordarmi, per verificare, se sono diventato come mi avrebbe voluto mia madre. Mi piacerebbe  sentirle dire che ne é orgogliosa -.

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