La medicina del futuro

Uno sguardo alla medicina del futuro

Diagnosi e terapia della medicina attuale sono ancora succubi di un empirismo medievale che le recenti scoperte e le nuove tecnologie non sono riuscite ancora a debellare. Basti pensare alle biopsie epatiche o cardiache, un grosso ago che preleva un sottile cilindro di tessuto, per capire quanta strada ancora occorre fare per giungere alla meta.

La domanda è, ma quale strada?

Mi viene in mente l’approccio del meccanico di oggi a confronto con quello di ieri: il secondo aveva a disposizione i suoi sensi ed il suo intuito per capire quale fosse il guasto, il primo oggi inserisce uno spinotto nei sito di controllo e con il suo computer fa la diagnosi del guasto e del come ripararlo. Egli ha imparato a dialogare con tutti i sistemi dell’auto che a domanda rispondono.

Si può ipotizzare in medicina un sistema analogo? Evitate di pensare a dove potreste inserire lo spinotto, ma concentratevi sulla possibilità di dialogare con i vari sistemi ed organi del corpo. Non un sofisticato macchinario che fotografa ed indaga sulla condizione di un distretto organico, ma informazioni dirette da parte dello stesso sistema che vengono ricevute ed elaborate dal computer del sanitario al quale ci siamo rivolti. Potete immaginare che l’esame si svolga nel seguente modo: una piccola piastra, capace di raccogliere i segnali elettromagnetici delle cellule della mucosa, viene inserita nella parte interna della guancia, la superficie delle piastra dialoga con le cellule epiteliali alle quali chiede conto dello stato dell’arte dei vari distretti organici. Le risposte sono immediate e precise ed il sanitario può immediatamente dirci quale è la causa dei nostri disturbi. Può anche interrogare le cellule con le quali è in contatto su quale possa essere il rimedio più efficace ed avere indicazioni sulla strada terapeutica da intraprendere.

Fantascienza? No, sicuramente no, se la ricerca scientifica rivolgerà le sue attenzioni alle modalità con le quali le cellule dell’organismo parlano tra di loro, studiandone il linguaggio, la grammatica e sintassi, e approntando un esauriente vocabolario.

Perché è certo le cellule, anche due semplici cellule epatiche, situate l’una adesa all’altra, parlano tra loro, esattamente come facciamo noi umani che ci scambiamo continuamente informazioni, talora anche in eccesso; loro fanno la stessa cosa, mattina e pomeriggio, sera e notte compresa. Cosa si dicano è facile immaginarlo, ma è come se lo dicono è il vero problema.

Ho affermato che parlano tra di loro e questo rimanda ad un soggetto che dialoga, e che quindi è cosciente e pensante. Ma le cellule sono soggetti pensanti? Forse non nel senso comune del termine con riferimento ad un cervello che gestisce la comunicazione, ma sicuramente come sistema che ben conosce i suoi compiti e le strategie per attuarli e che sa valutare se occorrono variazioni o deviazioni ed il modo per correggerle, comunicandole ed interscambiandole con referenti di maggior livello e complessità. Individui, le cellule, consce del proprio ruolo, consapevoli di essere parte integrante ed inscindibile di un sistema più vasto e complesso al quale debbono rendere conto, ma nel contempo in qualche modo autonome, capaci di decisioni, pur integrate nel e dal sistema.

Soggetto pensante, quindi? Forse.

Una serie di considerazioni a questo punto nascono spontanee.

Prendiamo in esame un’ovocellula umana appena fecondata nella quale si è ricomposto il materiale nucleare (ventitre coppie di cromosomi). E’ un’unica cellula nei cui cromosomi è stato redatto un progetto strabiliante di costruzione di un individuo, l’uomo, capace di auto perpetuarsi nel tempo e nello spazio, con l’uso di qualche miliardo di triliardi di informazioni necessarie all’oupo. Una enciclopedia Treccani della quale abbiamo scoperto qualche lettera con la quale è stata scritta e letto qualche parola. Ma la cosa più incredibile è che questi cromosomi si comportano come un’estesa equipe di professionisti, preparati ed intelligenti, nel mettere in atto il progetto, eseguendolo in ogni dettaglio, senza commettere errori nella gran parte dei casi, prendendo anche decisioni estreme come quella di interrompere il corso della gestazione, se il feto non presenta i requisiti di vitalità richiesti. Si potrebbe pensare, senza tema di errore, che proprio quel convoluto cromosomico sia la vera intelligenza presente sul nostro pianeta, anche perché ciò che noi consideriamo tale, l’attività del nostro cervello, è già, con i suoi cento miliardi di neuroni, interamente scritta in quegli stessi.

Si può capire da quanto sopra come il soggetto veramente pensante sia il corredo cromosomico, anche se questo assunto rimanda al problema di quale sia l’effettivo livello al quale esistono le informazioni e di come fluiscano nello spazio tempo.

Il fatto poi che una semplice cellula epiteliale possa essere riprogrammata e trasformata in totipotente, quindi riportata ai primi stadi di sviluppo, fa considerare come anche il corredo cromosomico di questa abbia in sé le stesse informazioni e lo stesso progetto dell’ovocellula prima citata, ovvero in ogni cellula vivente, umana e non, ci sono tutte le informazioni necessarie e tutti i progetti viventi, che esistono su questa terra. Ed è facile intuire come la comunicazione tra questi soggetti sia la prima caratteristica che li contraddistingue.

Ricerche recenti in campo agrobiologico hanno chiaramente dimostrato che tutti i vegetali non solo comunicano tra di loro, ma sono capaci di interloquire con gli insetti (si è visto come le piante del mais siano capaci di indurre le vespe a uccidere i vermi che infestano le loro radici).

“Anche le piante hanno il cervello? Così sembrerebbe, magari non proprio evoluto come il nostro, ma secondo un recente studio condotto dall’Università di Birmingham le piante sarebbero dotate di una serie di cellule che agirebbero come una sorta di “centro di comando”.

Sembra che queste cellule servano alla pianta per prendere decisioni importanti in termini di ciclo di vita della pianta, come quando innescare la germinazione o quando invece i semi devono “dormire”. Le cellule delle piante valutano le condizioni ambientali intorno a loro e decidono quando è meglio iniziare il processo di nascita e crescita della pianta.

Ovviamente è difficile da osservare questo fenomeno e il tema di ricerca si è basato su una modellazione matematica per prevedere come i processi biologici si svolgano nei più comuni scenari naturali. La conclusione è che vi è uno scambio ormonale tra cellule, che controlla il processo di germinazione e che, soprattutto, esiste veramente un centro di controllo in cui le cellule “parlano” tra di loro.

Ciò che ha stupito i ricercatori è che non esiste un unico tipo di cellula, ma due che dialogano. Questo a riprova del fatto che le cellule possono avere un’idea diversa delle condizioni ambientali esterne e la germinazione comincia solo quando vi è una sorta di “consenso generale”. Tutto questo porta a dimostrare che le piante, ovviamente, non hanno un cervello vero e proprio, ma il centro di comando cellulare che le determina, si comporta proprio come un cervello umano.”

In sintesi: il materiale cromosomico esistente sulla terra rappresenta il vero soggetto intelligente ed ha come unico scopo quello di perpetuarsi nello spazio e nel tempo. Noi siamo espressione del lavoro dell’artista che è in noi, il nostro corredo cromosomico, non siamo noi gli artisti!

Forse è il caso di tenerlo presente.

Se infine consideriamo che nei cromosomi risiede tutta la memoria storica dell’evoluzione di ogni forma di vita, allora si capisce che il vero viaggio verso la conoscenza ha una unica, precisa, inconfutabile direzione.

Ora torniamo alla comunicazione cellulare per cercare di definire cosa le cellule si dicono, come se lo dicono e a chi si rivolgono per comunicare la loro situazione, od eventuali problemi, e per ricevere indicazioni di comportamento.

L’argomento più complesso è il modo con cui parlano tra loro.

Sono già note molte forme di comunicazione cellulare:

“Le cellule comunicano e interagiscono tra loro tramite il fenomeno della segnalazione cellulare. Una cellula segnalatrice produce una molecola segnale. riconosciuta da una cellula bersaglio, per mezzo di una proteina recettore, che a sua volta produce segnali intracellulari. L’intero processo che traduce l’informazione portata dal messaggero extracellulare in cambiamenti intracellulari è chiamato trasduzione del segnale”.

Potremmo definire il livello di comunicazione suaccennato come livello biochimico che si attua attraverso ben conosciute combinazioni di molecole proteiche, il cui accoppiamento genera modificazioni di struttura quaternaria che si traducono in segnali comunicativi in entrata od in uscita.

Artefici di questo meccanismo sono le proteine integrali, incastonate ed attraversanti a tutto spessore la membrana cellulare. Nella loro estremità esterna appaiono sulla superficie della cellula come cespugli, antenne, torrioni di controllo, protuberanze di varia foggia, ciascuno con un compito specifico; la combinazione con le molecole segnale attiva un processo di modificazione strutturale della protuberanza che si accompagna ad una complementare modificazione interna della proteina, compiendo così il trasferimento all’interno della cellula dell’informazione (che, tramite dei trasportatori dedicati, va ad influenzare il sistema metabolico cellulare oppure, entrando nel nucleo, riporta l’informazione sui segmenti cromosomici in quella cellula attivi).

Con l’intento di vedere direttamente la modalità di funzionamento dei sistemi proteici, in California, un laboratorio avanzato a messo a punto una tecnica innovativa, la femtoscintigrafia a raggi laser, capace di fotografare reazioni biochimiche alla velocità di un milionesimo di miliardesimo al secondo producendo dei filmati che mostrano come le proteine cambiano struttura quando interagiscono: i filmati rivelano dettagli mai visti in precedenza ed anche spiegano come alcuni farmaci non colpiscano la proteina bersaglio con la necessaria efficacia o come la fotosintesi clorofilliana generi energia pulita.

Questo livello rimanda alle terapie farmacologiche attuali, che utilizzano molecole attive per influenzare l’attività cellulare: il farmaco rappresenta l’informazione capace di modificare ed indirizzare verso un funzionamento normale quella cellula o quel gruppo di cellule (che non è detto rispondano tutte allo stesso modo, o pienamente – vedi sopra -).

Al livello biochimico potremmo assimilare anche un qualche segnale che dovesse nascere dalle deformazioni della membrana cellulare determinate da onde meccaniche, per esempio sonore (il ruggito del leone è capace di generare paura anche se udito da dietro le sbarre di una gabbia per evidenti reminiscenze genetiche).

Quest’ultima possibilità ci rimanda ad un ampliamento del significato di informazione che possiamo definire come una qualsiasi variazione di stato degli elementi di un campo (in senso einsteniano), elementi tutti interconnessi ed influenzantesi a vicenda: il campo è come una grande piazza nelle quale un individuo guarda il portale cesellato della chiesa che gli sta davanti, egli non riceve ed incamera solo le informazioni che provengono dall’oggetto sul quale ha fissato volontariamente la sua attenzione, ma molte altre decine di migliaia di dati vengono letti ed elaborati nel medesimo tempo senza che egli ne sia cosciente.

Sulla superficie della cellula accade lo stesso fenomeno, ovvero che decine di migliaia di dati vengono gestiti ed utilizzati per ogni necessità della stessa cellula.

Ma a cosa servono tante migliaia di dati?

La gran parte appartengono alla categoria dei controllers, ovvero hanno il compito di verificare che il segnale venga gestito nel modo corretto, fotocopia di quanto succede per i nostri cellulari nei quali, per garantire una corretta trasmissione del segnale, questo viene sovraccaricato di bit di stabilizzazione.

Un’altra parte invece sono necessari per garantire che l’area nella quale passa il segnale sia stabile, sicura, protetta, in modo da permettergli un transito regolare.

Ancora un’altra parte sono relativi alle condizioni dell’interfaccia in presenza di variazioni.

Un’ultima porzione riguarda i dati veri e propri, frutto della comunicazione fra cellule vicine o anche molto lontane,

L’attenzione degli studiosi si è fino ad oggi concentrata solo sul portale cesellato, il livello chimico della comunicazione, non fosse altro per il fatto che è più vicino e sensibile ai nostri mezzi di indagine e di comprensione.

La domanda quindi è: dove sono e come si articolano le altre decine di migliaia di dati?

Immaginiamo di ingrandire la superficie cellulare di circa 10,000 volte, portandoci ad un livello nanometrico: il cespuglio rappresentato dalla parte esterna della proteina integrale si trasforma in un gigantesco albero il cui fogliame fluttua al vento del campo elettromagnetico in un cielo di nubi elettroniche che si modificano continuamente determinando cambiamenti a catena. E i cambiamenti della struttura esterna determinano equivalenti modificazioni di quella interna, producendosi così una cospicua importazione di dati, che vengono utilizzati dalla cellula sia a livello plasmatiche che nucleare. La modifica conformazionale anche di una delle subunità determina spesso, a causa delle interazioni presenti nella proteina, cambiamenti nelle proprietà di un sito adiacente (allosterismo) in una catena di eventi a cascata, modificando così una vasta area del campo, ovvero di superficie cellulare.

E non solo vento, ma anche pioggia e grandine sotto forma di nano strutture vanno a configurare la superficie cellulare, rappresentando una notevole componente dello scambio comunicativo. Per non parlare degli uccelli che volano in questo cielo, che vanno e vengono dal loro nido, costituendo l’informazione di base dello scambio cellulare.

Personalmente ritengo sia questo il livello nel quale l’omogeneità di campo dà significato pieno e vero al concetto d’informazione su definito.

Nel complesso sistema delle nubi elettroniche che costituiscono la superficie esterna delle cellule e la loro interfaccia, dobbiamo supporre che siano le variazioni degli elementi presenti nel campo il meccanismo di comunicazione più utilizzato, complementare e soprattutto implementare, del livello biochimico.

Questo dialogare, scambiare, trasmettere, ricevere informazioni, per variazione di campo ci fa pensare ai noi con i nostri cellulari ed al loro funzionamento: la superficie cellulare è come una porzione di superficie terrestre, milioni di messaggi viaggiano per aria incontrando disturbi più diversi, sono destinati a ricevitori dedicati capaci di riconoscere il segnale base che magari è stato distorto, lo decrittano, se serve, lo decodificano e lo inviano al destinatario.

Ma se sulla superficie terrestre ci sono le antenne ed i ripetitori per far viaggiare le comunicazioni, che noi possiamo monitorare in molti modi ed in qualsiasi condizione, e siamo quasi sempre in grado di leggere tutto ciò che viaggia, sulla superficie cellulare le cose sono agli scienziati del tutto sconosciute: l’unica cosa certa è che ripetitori ed antenne sono rappresentate dalle proteine integrali, ma nulla sappiamo sui codici di codifica, decodifica, sui protocollo di trasmissione, su tutte le diavolerie che accompagnano il flusso di tante migliaia di dati.

Per saperne di più di questo traffico di dati dovremmo intercettarli, inserendoci nel contesto comunicativo, ma non abbiamo oggi mezzi fisici per farlo, troppo infinitesimale lo spazio nel quale piazzare le nostre microspie (peraltro non ne abbiamo di così piccole).

Il primo obiettivo di chi volesse studiare questo tipo di comunicazione sarebbe quello di sviluppare sensori capaci di rilevare le minime variazioni nel campo, che altro non sono che le parole che si scambiano le cellule.

Ma resterebbe il problema di capirne il significato e questo è possibile soltanto impostando una ricerca che abbia come obiettivo la possibilità di parlare con una cellula, utilizzando come modello sperimentale l’uso di alcune grosse cellule isolate con le quali provare ad interloquire, usando come protocollo lo scambio di segnali da e verso la cellula in modo da permettere un primo approccio ad una grammatica, ad una sintassi ed ad un vocabolario, per costituire le basi del futuro dialogo con la cellula, che va considerato individuo estremamente intelligente, con molteplici e profonde conoscenze, che potrebbe trasmetterci.

Un’ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di una cellula gigante immersa in un mezzo di coltura e circondata da sensori ad altissima sensibilità. La cellule potrebbe essere sottoposta a condizioni fisiche varie, per esempio riscaldando il mezzo di coltura oppure raffreddandolo, e rilevando poi le variazioni sulla sua superficie, variazioni che verrebbero codificate con la possibilità di riproporle. A questo punto l’operatore proporrebbe prima il cambiamento di temperatura e poi, ripristinate le condizioni di normalità, invierebbe il segnale codificato per il caldo o il freddo aspettando di capire quale sarà il segnale di risposta della cellula.

Sarebbe una specie di condizionamento operante in quanto il dialogo avverrebbe su condizioni note, caldo, freddo, luce intensa, buio ecc., e permetterebbe all’operatore ed alla cellula di trovarsi in sintonia, d’accordo su semplici condizioni basali. Io so che tu sai, tu sai che io so: questo il primo contatto. Poi…si dovrà e potrà continuare.

Abbiamo a che fare con una specie di alieno dentro di noi, che nulla fa per rivelarsi ai nostri sensi, con il quale oggi l’interscambio è quasi nullo, ma che non ha avuto l’input del silenzio assoluto. Siamo noi che dobbiamo andarlo a scovare, per conoscerlo, farci raccontare tante cose, e chiedergli chi veramente sia e da dove viene.

Se si trattasse di un film probabilmente, alla domanda di chi sia, risponderebbe “ Universal genetic corps, matricola 1245783501”.

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