Una missiva per un’idea energetica

Ebbi ad inviare alla fine di gennaio u.s., la proposta di progetto di seguito esplicitata senza ricevere alcuna risposta.

Vorrei rivolgermi a chi mi legge.

Ogni volta che un cittadino si rivolge alla pubblica amministrazione, quest’ultima, nella veste dei suoi funzionari, dovrebbe prendere in seria considerazione questa comunicazione, poiché il senso del lavoro di chi amministra è proprio il dialogo con chi dello stato è l’espressione. E non ha importanza il contenuto della comunicazione, sia fantasioso, serio, concreto, condivisibile od altro: il cittadino merita sempre una risposta.

Quale seconda annotazione vorrei ricordare, sempre a chi mi legge, che esiste una teoria, quella degli orizzonti, che postula il seguente assunto (è il terzo dei fondamentali):”L’orizzonte di riferimento non è il singolo orizzonte individuale, ma è la somma non algebrica di tutti quelli conosciuti, di quelli sconosciuti ed ancor di più di quelli che risultano impensabili alla nostra mente”. Chi mi letto precedentemente ha pensato di “scremare” la posta diretta al superiore, partendo dal presupposto di una valutazione personale in funzione del suo orizzonte (che non può certo comprendere una proposta tanto semplice quanto incredibile, per chi ritiene che la scienza germogli solo nelle università o nella mente dei plurititolati professori.

Vorrei ricordare inoltre, sempre a chi mi legge, di valutare la proposta che segue, tenendo conto che il riferimento fondamentale dell’idea, nata nella mente di un medico, è l’applicazione del termometro in un orifizio del corpo chiamato volgarmente buco di culo. Il termometri vi entra freddo e in pochi secondi si riscalda. Ho trasferito calore dal dentro al fuori. E avere calore fuori significa avere energia disponibile. Niente di più.

Una lettura più attenta, sulla scorta dei succitati presupposti, credo possa attivare almeno una semplice verifica di fattibilità, anche concettuale, di un’idea intelligente.

La disponibilità d’energia a costo basso rappresenta, per lo sviluppo di una nazione, di una regione, il principale presupposto senza il quale non vi è possibilità di crescita.

Chi vuole impiantare un’industria, chi vuole smaltire rifiuti, chi vuole coltivare la terra od allevare bestiame, anche solo chi ha bisogno di aria climatizzata per lavorare meglio, deve fare i conti con i costi dell’energia. Per vivere una famiglia media spende una parte considerevole delle proprie risorse finanziare per pagarsi la quota di energia che consuma.

In un paese come l’Arabia Saudita oggi si può ben vivere e lavorare perchè chi vi abita può permettersi tutta l’acqua dolce e l’aria condizionata che desiderano in quanto il costo energetico della dissalazione e della climatizzazione, per loro, è pari al costo di costruzione e di manutenzione degli impianti (non pagano il petrolio che li fa funzionare).

Non avendo noi italiani a disposizione il loro petrolio, il cui costo aumenta e continuerà ad aumentare nei prossimi anni, non possiamo permetterci di programmare un serio sviluppo, specialmente al Sud.

Ma se si potesse disporre d’energia al costo di costruzione e manutenzione dell’impianto che la genera (come gli arabi), senza limiti di produzione, senza danni per l’ambiente, e dare così la possibilità di avviare, in ogni campo, attività economiche a costi energetici notevolmente bassi, allora le prospettive di crescita per l’intero paese e soprattutto per il Sud, diventerebbero certamente più rosee.

Se un khilovattora alla produzione potesse costare dieci lire contro le quasi cento attuali, non sarebbe difficile convincere molti industriali a trasferisrsi, molti imprenditori ad investire nel nostro paese, oltre che permettere alla popolazione un miglior tenore di vita.

Il “Progetto Etna” è la risposta al problema energetico del nostro paese e della Sicilia e potrebbe dare avvio al rilancio economico e sociale senza precedenti.

Di cosa si tratta.

Lunedì 5 dicembre 2006, sul Giornale di Milano è comparso un articolo che raccontava come i tedeschi intendano produrre energia elettrica (il 5% del fabbisogno tedesco) utilizzando un sistema di sonde che infisse nel terreno, alla profondità di 5000 metri, in una zona “calda”, scambiano calore e producono vapore. Un sistema ecologico, pulito, che entrerà in funzione tra un paio d’anni.

Ora la zona calda in Sicilia, da tutti conosciuta, è il vulcano Etna, che se ogni tanto dà qualche problema, non si capisce perché non possa essere considerato una risorsa.

Supponiamo di scavare una galleria su un fianco dell’Etna, sul lato dove ovviamente non vi sono pericoli di colate, e di dirigersi in orizzontale, con gli scavi, verso il camino del vulcano. E’ cosa nota che avvicinandosi al vulcano la temperatura del terreno sale. Occorre arrivare al punto in cui la temperatura raggiunge i 140/150 gradi (oggi la tecnologia permette di lavorare senza problemi anche in ambienti con temperature superiori). In questo punto se si inseriscono degli scambiatori di calore in quella terra così calda e li si collega ad una circolazione di acqua in pressione, si produrrà vapore ad una pressione ancor maggiore. Questo vapore, riportato attraverso condotte a tenuta, all’esterno, potrà alimentare una o più turbine ottenendo così energia elettrica, la cui quantità sarà funzione della dimensione e del numero degli scambiatori di calore, del diametro delle condotte, del tipo di turbina e così via.

L’energia elettrica prodotta, inesauribile ed ecologica, costa soltanto il valore dell’impianto e della sua manutenzione, in quanto il calore che alimenta il processo produttivo è gratuito, perenne, indistruttibile, illimitato.

Oggi il costo di un kilowatt prodotto con le centrali attuali si aggira intorno ai 5 centesimi di euro. Allo stato italiano ed alla regione Sicilia con la realizzazione del progetto Etna un khilowattora verrà a costare intorno a 0,0025 euro (un ventesimo). Il governo potrebbe offrire l’energia elettrica ai siciliani (ed ai sardi che hanno avuto l’idea) e a chi investe in Sicilia a costi di produzione e trasporto, utilizzando il resto per l’intera nazione, a cominciare dal Sud per giungere sino al Brennero. Sollevandoci così dalla dipendenza nei confronti del petrolio.

Perché non approfondire il discorso con uno studio di fattibilità? (il piccolo modello da noi costruito in laboratorio funziona senza problemi).

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